Per info e segnalazioni:
geronimo it gloria-lisi-contro-emma-petitti-sui-social-post-la-candidata-usa-strumentalmente-una-immagine-che-appartiene-ad-altri-A55945 004 Per info e segnalazioni: +39 3339968310 -
Politica 12:22 | 19/10/2024 - Rimini

Gloria Lisi contro Emma Petitti sui social post: "La candidata usa strumentalmente una immagine che appartiene ad altri"

Con questa nota alla stampa voglio sollevare una questione, che penso possa riguardare molti di noi, che scorrendo i post sponsorizzati che ci appaiono sui nostri social, sono inciampati su questo post.

Si tratta di quello sponsorizzato dalla candidata Emma Petitti, attualmente rappresentante della Regione Emilia-Romagna nel ruolo di Presidente dell’Assemblea Legislativa e che questa mattina ho visto scorrere sul mio cellulare.

Trovo senza dubbio strumentale da parte di questa candidata utilizzare un’immagine di un evento importantissimo realizzato dal Comune di Rimini ed organizzato dall’Associazione Rompi il Silenzio, Associazione che, lo ricordo, gestisce il Centro antiviolenza del nostro Comune. Voglio qui ricordare che quando ricoprivo il ruolo di Assessora alle Pari Opportunità e ai Servizi Sociali, sono stata la prima amministratrice a concedere diversi appartamenti alle donne vittime di violenza, per salvarle dagli uomini violenti che le maltrattavano, inoltre ho anche proceduto a rendere formale la destinazione della sede attuale del centro antiviolenza del Comune di Rimini. Quindi, come è noto la mia dedizione alla lotta contro la violenza di genere è sempre stata forte ed indiscutibile.

L’immagine utilizzata dal post, che allego, presenta sotto il seguente messaggio: “La gestazione per altri non può essere reato universale”, ed è su questo tema che come cittadina e come rappresentante del Comune di Rimini, in quanto eletta dai cittadini, non posso tacere il mio dissenso. Ora, la candidata può legittimamente esprimere il suo pensiero politico, ma per farlo, non può, a mio avviso, utilizzare un’immagine di un evento come quello della camminata contro la violenza sulle donne organizzata in collaborazione con il Comune di Rimini. In questa immagine appaiono anche appartenenti alle Forze dell’Ordine, in particolare Marina militare - Capitaneria di Porto di Rimini e Guardia di Finanza. Mi chiedo, sono concordi con il messaggio della candidata che attacca una legge dello Stato?

Su cosa penso io della GPA forse interessa poco, ma visto il mio totale dissenso a questa pratica umiliante per le donne che vedono ulteriormente utilizzato il proprio corpo come merce, voglio ribadire che l’Italia è il primo, e finora unico, Paese al mondo a rendere l’utero in affitto reato universale, perseguibile dovunque sia commesso da un cittadino italiano. Si tratta di un semplice emendamento alla legge 40, e ha un innegabile valore simbolico oltre a un aspetto propagandistico perché l’utero in affitto in Italia è già vietato e penalmente sanzionato, e la Corte Costituzionale ha poi ribadito il divieto nel 2014. Pertanto trovo assolutamente fuori luogo utilizzare un’immagine di un evento del Comune di Rimini, sottolineo poi il cattivo gusto di strumentalizzare a proprio piacimento e per fini elettorali immagini di persone che stanno partecipando alla camminata...comprese le forze dell'ordine. Questi possono apparire metodi usati da persone senza scrupoli, che per i loro fini passano sopra anche alle sensibilità delle isituzioni che rappresentano.

Appartengo ad una rete di femministe di sinistra che la pensano come me e con le quali mi sono confrontata prima di scrivere questo pezzo. Da loro ho ricevuto i seguenti spunti, che faccio miei: per cancellare questa indegna schiavitù non basta più quello delle migliaia di femministe che per oltre dieci anni hanno combattuto e vinto, dalla Thailandia alla Svezia. Grazie alla lotta delle donne la surrogazione è legale in un numero sempre più esiguo di paesi, è lasciata al far west in pochi altri, è vietata quasi ovunque, checché ne dica la munifica propaganda delle agenzie.  Decine di associazioni e di singole, indomite, militanti oggi festeggiano il provvedimento italiano. Sono Rad-Fem Italia, Stop Surrogacy Now, Ciams, Finnrage, Women’s Declaration International, Japan Coalition Against Surrogacy, Feminist Legal Clinic, Prostitution Research & Education, Finaargit, Jennifer Lahl, Pyllis Chesler, Gena Corea, Sylviane Agacinski e molte, molte altre.

La GPA infatti criminalizza le donne alla pari di chi ha il potere di pagarle e sfruttarle. Le stesse donne che a sua volta considera e riduce a fattrici e ci genitori di figli per la “famiglia” e la patria.

A me rattrista che la prostituzione dell’utero, possa ridurre le donne soltanto ad un utero. C’è un limite ed è il corpo sessuato. Gli esseri umani diventano oggetto anche se li “regali”. E poi se qualunque donna viene considerata un contenitore di essersi umani per altri, se ne va anche qualunque base per la libertà di non portare a termine una gravidanza. Chi non può avere figli biologici non li può avere. Esiste un limite. Esistono altri modi di essere madre, o padre, ma per me la libertà di non esserlo passa proprio dal riconoscimento del limite. E ancora: non è questione di parlare con chi pensa che un desiderio sia un diritto, oggi la questione è diventata individualismo allo stato puro. La politica delle donne è ben altra cosa. In ogni caso, una maternità, diciamo condivisa, non ha bisogno di regolamentazione. “Il contratto sessuale” di Carol Pateman ci restituisce la riflessione più chiara su questo punto. La presenza di qualunque contratto in materia sessuale e riproduttiva non è dalla parte della libertà delle donne. Di questo passo si arriva alla prostituzione altruista. E non scherzo perché davvero il piano è lo stesso, quello di una sottomissione altruistica volontaria. E da lì poi non ci si ferma più.

La genitorialita' e la maternità non sono diritti.  Soprattutto non possono passare sopra il riconoscimento di subordinazione di donne  in condizione di disagio economico, che si venderebbero a causa di tali difficoltà. E ne parlano donne che nella loro vita hanno dovuto fare i conti drammatici con tale desidero e con tale limite. Aleggia su ogni questione delle priorità delle facoltà femminili, che precedono i diritti, comunque formulati. Affidare la signoria sul corpo alla giurisprudenza porta all'ambiguitá della lettura egualitarista, dove le donne sono asessuate. Allora siccome non ci si può sottrarre al confronto istituzionale il perimetro non può essere dettato da un partito. All'interno della logica istituzionale le donne che invocano il sostegno femminista devono sceglie a quale "noi" ispirarsi. Crediamo che l'unico/a a poter avanzare un diritto sia la creatura nata da tale. pratica che ha il diritto di non separarsi dalla propria madre, visto che questa separazione provoca danni ormai comprovati dalle neuroscienze. Poi c' è il diritto di ogni donna ad un lavoro dignitoso che non implichi la messa in vendita del proprio corpo e dei propri figli. Abbiamo ormai prove certe che i rimborsi per la solidale corrispondono alle cifre della commercializzazione. È soloun modo diverso di chiamare la stessa cosa, ma di fatto si tratta di una vendita.

Siamo ormai arrivati ad una scadenza elettorale importante, come quella delle lezioni regionali, penso sia fondamentale per i cittadini sapere come la pensano i diversi candidati, tenuto conto che oggi sul Foglio, anche Angela Finocchiaro, spiega le ragioni del suo voto contrario alla GPA, dove afferma che “l’utero non è un forno”.

Invierò questa nota anche al Sindaco, che è la persona deputata, come rappresentante del Comune di Rimini a difenderne l’immagine e al Segretario Generale, oltre alle Forze dell’ordine che vengono rappresentate in fotografia.

Infine inserisco qui un interessante articolo che condivido.

27 Settembre 2024

Il Mulino

Due o tre cose sulla maternità surrogata

di Valentina Pazé

Di che cosa parliamo quando parliamo di maternità surrogata? Oggi tutti si esprimono sull’argomento, con piglio sicuro e toni ultimativi, in un clima politico fortemente ideologizzato e inquinato da confusioni, ambiguità, malintesi, primo fra tutti quello derivante dall’indebita sovrapposizione di questo tema con quello dei diritti delle coppie omosessuali. Può allora essere utile ripartire dall’inizio e provare a fissare alcuni punti fermi.

La surrogazione di maternità, o gestazione per altri (di qui in poi, per comodità, anche Gpa), è una pratica che consente di scomporre il processo procreativo in varie fasi, affidandole a soggetti diversi. Il modello oggi di gran lunga prevalente prevede che una donna fornisca l’ovocita, un uomo lo sperma e un’altra donna (diversa dalla prima) si offra per ospitare nel proprio utero gli embrioni (spesso più di uno) creati in laboratorio attraverso le tecniche della fecondazione in vitro. Ne risulterà una gravidanza particolarmente impegnativa per la gestante, tenuta ad assumere ormoni prima e dopo l’impianto ed esposta al rischio di complicanze, aborti spontanei, depressione post-partum superiore alla media. Non proprio una gravidanza fisiologica, dunque, nonostante si senta talvolta parlare della Gpa come di una pratica “vecchia come il mondo”, di cui si troverebbe traccia già nella Genesi, dove Agar (una schiava!) dà un figlio ad Abramo…

Quando parliamo di maternità surrogata ci riferiamo, inoltre, a un rapporto giuridico, mediato da un contratto tra soggetti privati, che richiede talvolta di essere convalidato dall’autorità giudiziaria. A sottoscrivere l’accordo c’è, da un lato, la donna che si impegna a portare avanti la gravidanza, rinunciando a rivendicare qualsiasi legame con il bambino che ha partorito. La chiamerò, di qui in poi, “madre naturale” o “madre surrogata”. Non “portatrice”, come si usa anche fare, perché è termine asettico che banalizza in modo davvero inaccettabile l’esperienza della gravidanza, nel corso della quale la madre ha scambi biologici ed emozionali con il feto, comprovati dall’epigenetica. Dall’altro lato ci sono i singoli o le coppie infertili che alla donna si rivolgono per superare la loro impossibilità di generare. Li chiamerò, di qui in avanti, “committenti” o “genitori intenzionali” (le formule più frequentemente usate nei testi legislativi, là dove la Gpa è legale).

Ciò che mi sembra importante evidenziare è che stiamo parlando di un accordo che intercorre tra persone che prima di essere state messe in contatto da un’agenzia non si conoscevano. Questo è il caso tipico, per lo meno. Quello della donna che si offre di soccorrere una sorella, un’amica o un amico gay si presenta (quasi) solo nei film. Nella realtà ci sono tutta una serie di altri soggetti attorno alle parti che siglano il contratto: agenzie incaricate di fare incontrare la domanda e l’offerta (e di provvedere alla necessaria “formazione” della surrogata), cliniche, avvocati, psicologi. Un indotto dalle ricadute economiche non indifferenti, che contribuisce a dare un’idea degli interessi in gioco, anche là dove la Gpa sia ammessa esclusivamente nella forma “altruistica”.

Quello della donna che si offre di soccorrere una sorella o un amico gay si presenta (quasi) solo nei film. Nella realtà si tratta di un rapporto giuridico mediato da un contratto tra soggetti privati.

Ecco un ulteriore punto da chiarire, forse il più delicato e controverso dell’intera faccenda. Oggi normalmente si distinguono due versioni di Gpa: commerciale e altruistica. Nel primo caso la donna che sottoscrive il contratto viene remunerata per il suo “lavoro”, nel secondo riceve un “rimborso spese”. Nella realtà, distinguere tra queste due forme di compenso è molto difficile. Daniela Danna, una delle massime esperte italiane sul tema, non ha dubbi:

“La differenza tra Gpa altruistica e Gpa commerciale […] non esiste. Le donne, tranne rarissime eccezioni nell’ambito di relazioni strette già esistenti – non si prestano a portare a termine una gravidanza per altri se non ricevono un compenso, in alcuni paesi ufficialmente sottoposto a un tetto (facile da aggirare)” (“Fare un figlio per altri è giusto”. Falso!, Laterza, 2017, p. 6).

Distinguere tra remunerazione e rimborso è arduo non solo per la facilità con cui i controlli possono essere aggirati, ma perché il rimborso tipicamente non copre solo le spese mediche o gli abiti pre-maman, ma anche i “mancati guadagni” di donne che, al momento della stipula del contratto, possono essere disoccupate o lavoratrici precarie.

Più in generale, distinguere tra “lavoro” e “dono”, in questo campo, non è semplice. In tutti i casi, lo abbiamo visto, esiste un contratto, che vincola la gestante a tutta una serie di obblighi (stile di vita salubre, accertamenti medici, assistenza psicologica), limitandone la libertà, per non parlare della privacy. In alcuni casi i contratti prevedono che la stessa decisione di abortire, o non abortire (quando siano consigliabili interventi di “riduzione embrionale”) non sia pienamente nella disponibilità della donna, tenuta a risarcire i genitori intenzionali in caso di scelte a loro sgradite.

Esiste poi, soprattutto, l’obbligo di consegnare il neonato a coloro che lo hanno “commissionato”. Su questo punto è bene essere chiari. Si favoleggia, talvolta, di Paesi che riconoscerebbero alla donna il diritto di cambiare idea, nel caso in cui l’esperienza della gravidanza e del parto faccia sorgere in lei il desiderio di non interrompere la relazione con il suo bambino. La realtà è diversa. In nessun luogo in cui la Gpa è legale viene riconosciuta davvero alle donne l’ultima parola. Anche nel Regno Unito, spesso portato ad esempio di Paese in cui sarebbe previsto il diritto al ripensamento, l’ultima parola spetta ai giudici e, in attesa del loro pronunciamento, il bambino viene affidato alle cure dei genitori intenzionali. Non diversamente dispone il progetto di legge elaborato dall’associazione Coscioni, depositato in parlamento durante la scorsa legislatura: in caso di controversie tra committenti e madre naturale deciderà un giudice, “adottando in via d’urgenza un provvedimento nell’interesse dei minori anche in base alle intenzioni manifestate dalle parti e recepite nell’accordo di gravidanza solidale e altruistica”. L’ultima parola, dunque, è di un tribunale. Che – l’esperienza insegna – nel superiore interesse del minore ad essere cresciuto in una famiglia più agiata di quella della madre naturale, lo affida di regola ai genitori intenzionali. Solidarietà obbligatoria? Altruismo forzato? Dono esigibile per via giudiziaria? È chiaro che la presenza di un accordo giuridicamente vincolante e formalmente coercibile cozza con l’idea di un gesto gratuito e ispirato a generosità…

In nessun luogo in cui la Gpa è legale viene riconosciuta davvero alle donne l’ultima parola: l’ultima parola spetta ai giudici e, in attesa del loro pronunciamento, il bambino viene affidato alle cure dei genitori intenzionali.

Ma perché, allora, è così facile imbattersi in testimonianze di madri surrogate che dichiarano di avere agito per amore, e non per soldi? (per farsi un’idea, si veda il volume di S. Marchi, Mio tuo suo loro. Donne che partoriscono per altri, Fandango, 2017). A me sembra che si debba riflettere per lo meno su due aspetti. Per un verso – l’abbiamo visto – non dobbiamo pensare alla Gpa come a una relazione che riguarda esclusivamente una donna e una coppia infertile, ma tenere presente ciò che si muove dietro di loro: le agenzie, le cliniche, gli studi legali, gli psicologi… Il fatto che una surrogata non sia (ufficialmente) pagata, insomma, non implica che attorno a lei non esista un mercato. E dove c’è mercato c’è marketing; ci sono le donne che fanno da testimonial per le agenzie e sono tenute a restituire una certa immagine dell’attività in cui sono state coinvolte. Ma c’è poi, forse, anche una spiegazione più banale dietro al grande bisogno di alcune madri surrogate, e di coloro che ad esse si rivolgono, di raccontare – e raccontarsi – la Gpa in termini diversi da uno scambio commerciale: il fatto che, osservata dall’esterno, assomiglia un po’ troppo alla compravendita di un bambino. Qualcosa che perfino nell’epoca del neo-liberismo trionfante risulta difficile da accettare…

Su questo aspetto vale la pena di interrogarsi. Che cosa vendono, o “regalano”, le surrogate? Un bambino? O piuttosto un servizio, una prestazione, per quanto molto particolare e irriducibile a qualsiasi altra, perché consistente nella messa al mondo di un essere umano? Al di là della difficile risposta a questo quesito, una delle ragioni per cui dovrebbe essere a mio avviso mantenuto il divieto della Gpa ha a che fare con il rischio che l’esperienza sempre singolare e concreta della gravidanza venga banalizzata e ridotta a mera fabbricazione di un “prodotto” da offrire a chi ne faccia richiesta.

L’altra ragione, su cui mi sono soffermata maggiormente altrove (Libertà in vendita. Il corpo tra scelta e mercato, Bollati Boringheri, 2023) rinvia alla libertà delle donne di autodeterminarsi, che non va confusa con l’autonomia negoziale e va difesa anche contro le pressioni del mercato.

Il fatto che i bambini siano persone, e non oggetti, se per un verso giustifica il divieto di istituzionalizzare una pratica che li priva programmaticamente della relazione con colei che li ha messi al mondo, per altro verso induce a criticare proposte di legge punitive come quella presentata in Parlamento dalle destre, che, facendo della Gpa un “reato universale”, avrebbe ricadute deleterie sui bambini già nati attraverso tale pratica. Se i bambini sono persone, se i loro bisogni devono essere messi al primo posto, non si possono fare pagare a loro le colpe degli adulti che, per averli, hanno fatto ricorso alla Gpa nei Paesi in cui è legalmente riconosciuta. “Colpe”, peraltro, originate da un desiderio di genitorialità comprensibile, che non va criminalizzato. Non si tratta qui di inasprire le pene e rendere la vita difficile ai trasgressori. Si tratta di fare una battaglia culturale sul significato della Gpa, che non può essere considerata una semplice tecnica di riproduzione assistita. E chiedersi se il desiderio di avere bambini, di accudirli e amarli non possa essere soddisfatto attraverso forme di genitorialità diverse da quella biologica, basate sull’adozione e sull’affido (da aprire anche alle coppie omosessuali). E forse anche sulla disponibilità ad accompagnare la crescita dei figli altrui, in nome di legami di solidarietà e di affetto che non hanno bisogno di contratti per esprimersi.

(Il Mulino.it, 6 giugno 2023)