Non sono rari nel campo dell’archeologia e in quello della ricerca storica creazioni di falsi a fini ideologici (talvolta propagandistici) o deformazioni che portano a clamorosi negazionismi o accentuate sfuocate prove scientifiche; le bandiere dell’archeologia che svolazzano cambiando inclinazione in base alla missione geopolitica da perseguire. Le rivendicazioni di antiche discendenze che non hanno alcun legame con le realtà storiche, ma che sono utilizzate come distorto strumento geopolitico nella questione israeliano- palestinese, ad esempio non sono rare. Anche se le evidenze dell’archeologia israeliana che attestano gli antichi insediamenti del popolo ebraico sono sul tavolo da anni, non mancano le rivendicazioni di antiche appartenenze genealogiche in lotta con il sionismo. E’ il caso del palestinese Abu ˁAlā, sostenitore di una sua lontanissima discendenza degli antichi abitanti di Gerico, quando è ampiamente documentato che la sua famiglia appartiene a una tribù beduina che si spostò a Gerico solo nel periodo del mandato britannico.
Testimonianze archeologiche, documentazioni, informazioni incrociate hanno permesso di redimere i fili documentabili di alcune famiglie ebraiche legate addirittura al periodo del Secondo Tempio. E ancora, l’archeologia come strumento geopolitico incline a un sentimento nazionalista è riscontrabile in realtà geografiche e in momenti storici in cui è forte l’intento di battezzare una nuova storia e nuovi confini. Anche proiettato in periodo remoti, che precedono la storia. Quando si approfondisce, ad esempio, il tema della transizione meso-neolitica in Boemia e Moravia ci si trova di fronte, nella maggior parte delle pubblicazioni, ad una anomala applicazione indigenista-integrazionista in cui viene evidenziato, nel processo di neolitizzazione, il ruolo degli ultimi cacciatori-raccoglitori mesolitici “cechi”. Peccato che l’unico dato oggettivo della Repubblica Ceca sia la quasi mancanza di testimonianze mesolitiche, quindi il cosiddetto pacchetto neolitico (ceramica, allevamento, agricoltura) si è diffuso per approcciarsi in quei territorio attraverso culture esterne. Ma il modello nazionalmente preistorico negli studi (non scientifici) nelle regioni dell’ex Cecoslovacchia è un richiamo patriottico troppo ghiotto e remoto. Anche se la storia ci insegna che l’utilizzo della cultura in senso geopolitico ha accresciuto la fama nazionalista di molti stati anche quando la storia apparteneva ad altri. Se è indubbio che l’asportazione di opere d’arte dal loro luogo di origine sia sempre un atto lesivo in un contesto storico e come tale va comunemente combattuto, è un
dato di fatto che nell’800 tali operati hanno impreziosito la cultura in molti stati europei. I trasferimenti d’arte egiziana dopo la spedizione di Napoleone, d’arte classica greca con i marmi di Elgin e arcaica greca e
mesopotamica con le spedizioni inglesi in Asia Minore, d’arte ellenistica con l’ara di Pergamo trasportata a Berlino, ad esempio, sono stati contribuiti essenziali per l’accrescimento della fama nazionalistica dei colossi della cultura in Europa. D’altronde le bandiera dell’archeologia spesso svolazzano quando il vento è geopoliticamente a favore.
Stefania Bozzo
Opinioni
11:01 | 28/04/2018 - Dal Mondo