La matematica è una confessione, un linguaggio che si nutre di una sconcertante sincerità. La matematica rivela la verità, come un quadro realista, ma riducendola ai minimi termini, eliminando qualsiasi variabile opinabile. La matematica è l’osso di un quadro realista, il pentagramma della natura, l’essenza che nella razionalizzazione acquista la forza di certezza assoluta. La matematica è la certezza dell’esistenza di un mondo certo. E i nostri impulsi irrazionali potrebbero essere punteggiati con una formula matematica, contornarti in modo da creare infinite suddivisioni che possano attestare il rapporto tra il razionale e l’irrazionale. Il numero aureo della vita, quella sezione che confermerebbe l’esistenza di un rapporto tra le parti più piccole e lontane e quelle più grandi e vicine dei nostri più intimi algoritmi. Alessio Figalli, premiato a Rio con la medaglia Field (il “Nobel” della matematica), è un brillante intelletto italiano che quel numero l’ha trovato seguendo le nuvole. Perché anche un genio che ambisce ad afferrare la certezza avrà certamente dovuto fare i conti con un impulso irrazionale, condottiero, una via incerta fra le nubi, le bolle, il ghiaccio, le frontiere libere. Deve aver per forza guardato a una geniale irrazionalità, per arrivare poi a stabilire le razionali formule per calcolare il trasferimento in modo ottimale di una distribuzione di massa da un luogo all’altro. D’altronde la sua scienza accentua esponenzialmente tale dicotomia. Se la letteratura e la filosofia traducono in parole il pensiero, gli impulsi, la coscienza in un percorso, nella sua dinamica, lineare; le scienze matematiche traducono il reale partendo dall’impalpabile. Per poi scriverlo con i numeri, anche tra le nuvole.
Stefania Bozzo
Opinioni
16:14 | 21/03/2018 - Dal Mondo