Che cosa succede quando il gioco perde la sua componente di spontaneità, di condivisione e di divertimento? Il Gioco d'azzardo è un fenomeno sociale e culturale dagli impatti devastanti sul tessuto sociale ed economico, ma anche nelle persone dalle forti implicazione nelle relazioni e negli affetti. Un fenomeno così complesso del quale ancora si tarda a comprendere la portata presente e futura.
Cosa fare e come proteggersi e proteggere i nostri cari sono alcune delle risposte che cercheranno di darvi mercoledì 17 aprile Marco Dotti, giornalista e docente presso l’Università di Pavia e a Chiara Pracucci, psicologa e psicoterapeuta. L’incontro a ingresso gratuito si terrà alle 20.30 presso la Sala Manzoni della Diocesi di Rimini, in Via IV Novembre 37.
L’incontro rientra nel calendario del Progetto “Quando il gioco non è un gioco”, organizzato dalla "Rete GAP Rimini, a contrasto del Gioco d’Azzardo Patologico", un’entità corale formata dalle cooperative sociali Cento Fiori, il Millepiedi, il Gesto e le associazioni Papa Giovanni XXIII, Alcantara, Parkinson in rete, oltre a Servizio Dipendenze dell’Ausl della Romagna e Comune di Rimini.
Quale filosofia ispira Rete Gap? Alcuni dati per dare un’idea della dimensione del fenomeno: nel 2022 la spesa complessiva è stata di 136 miliardi (ovvero 4 finanziarie), nel 2023 si stima 150 miliardi (di cui l’on line èsarà il 60%), con 800 mila giocatori patologici e 1,5 milioni giocatori problematici. In percentuale giocano di più le persone più fragili e vulnerabili. Alcuni dati statistici: Rispetto al titolo di studio gioca l’80% di chi ha la licenza elementare e media, il 70% dei diplomati, il 61% laureati. Se parliamo di occupazione gioca il 70% degli occupati, l’80% precari e l’87% dei cassintegrati.