Adriana Ventura, la Consigliera di parità della provincia di Rimini, nel 2020 ha preso in carico il caso di una dipendente di un Ente locale sito in provincia di Rimini, che era stata vittima di molestie sessuali nel suo luogo di lavoro ad opera di un collega. La dipendente, assistita dalle Avv.te Tatiana Biagioni e Avv. Anna Danesi con studio a Milano, agiva avanti il Tribunale del lavoro di Rimini per l’accertamento della molestia ed il risarcimento del danno. Nella causa interveniva ad adiuvandum la Consigliera di Parità della Provincia di Rimini (che aveva raccolto la segnalazione nell’immediatezza dei fatti e provato ad evitare il Giudizio), assistita dall’avvocata Francesca Introna con studio a Milano. In data 10 novembre 2021 il giudice del lavoro del Tribunale di Rimini ha accolto il ricorso accerando la sussistenza della molestia e condannando l’Ente per discriminazione riconoscendo un risarcimento di 15mila euro alla lavoratrice vittima di molestie sessuali sul luogo di lavoro. A seguito dell’impugnazione della Sentenza ad opera dell'Ente Pubblico, soccombente in primo grado, la Corte D'Appello di Bologna in data 12 Ottobre 2023 ha confermato la sussistenza delle molestie e la condanna per discriminazione del datore di lavoro.
“Sto uscendo da un incubo durato 3 anni, ringrazio le avvocate che mi hanno sostenuto ed assistito durante tutto l’iter processuale e, spero che questa “vittoria” possa essere di aiuto e stimolo per quelle donne che, come me, possano trovare il coraggio di affrontare un tema così intimo e delicato in sede giudiziaria, senza temere le tante implicazioni e ansie che possono vivere insieme alla propria famiglia.”
Queste le prime parole pronunciate da M.M. alla notizia della sentenza della Corte d'Appello di Bologna.
Grande soddisfazione per la sentenza esprime anche la consigliera di parità della Provincia di Rimini, Ventura Adriana, e le avvocate che hanno patrocinato entrambe le cause in primo e secondo grado.
"Questa sentenza rappresenta un tassello importante per contrastare le forme di discriminazione che sono sempre più diffuse, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violazione la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensione. Sono, altresì, considerate come discriminazioni le molestie sessuali, ovvero quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo. Questa definizione equipara le molestie (sessuali e non) alla discriminazione, identificando gli elementi principali della fattispecie ,il comportamento indesiderato, la violazione della dignità come scopo o effetto e il clima derivante dal comportamento. Questo principio è stato riportato in sentenza in maniera significativa, sottolineando come “Il riferimento al sesso utilizzando un termine percepito come idoneo a marcare la differenza di genere che ridonda a svantaggio di quello femminile” configuri la fattispecie di molestia sessuale così come delineata dalla norma. Nel contempo la sentenza riconosce e conferma la responsabilità dell'Ente Pubblico per la discriminazione subita da M.M. anche per aver il datore di lavoro avviato un procedimento disciplinare nei confronti della lavoratrice contestandole che parte dei fatti denunciati non erano stati provati nel corso dell’istruttoria interna all’Ente".
Per la fattispecie in questione, la consigliera di parità ha proceduto con le ulteriori azioni previste dal Codice delle Pari Opportunità nei confronti di soggetti pubblici e/o privati per i quali è stata accertata la responsabilità in ordine alle discriminazioni accertate.