In questa settimana, da tempi immemorabili, si svolgeva a Morciano di Romagna la capitale della Valconca, la tradizionale Fiera di San Gregorio. La Fiera anticipava di qualche giorno la primavera che già profumava nell’aria. San Gregorio era da sempre mèta e ristoro per coloro che non vogliono perdere le radici e godere di piccole cose che in questi giorni grami e disperati, terribilmente ci mancano senza essere modaioli o enofighetti. Gaudemus igitur, juvenes dum sumus… cantavano i clerici vagantes e noi calavamo da Urbino, la più bella città rinascimentale, dove a tempo perso frequentavamo l’Università, come fulmini dal cielo, come nembi di tempesta, assetati di avventure e di gloria.
La Fiera non era per i bambini, che venivano accontentati dai fichi secchi, ma per i rurales che presentavano tirate a scheggia, con paludamenti e drappeggi rossi, le migliori espressioni delle loro stalle. Il concorso spesso lo vinceva un toro di Passano, il mitico Bergamonti dell’azienda agricola Crescentini. Il toro corianese aveva due palle che superavano di gran lunga quelle che ho toccato al toro di Wall Street, nel quartiere della Borsa di New York. Perché Morciano è Morciano e San Gregorio non è un santo qualunque.
Rurali sempre
Enrico Santini