“Le micro e piccole imprese continuano a sbattere sul muro della burocrazia. Se dalla conversione in Legge del DL Liquidità arrivano buone notizie con l’aumento dei limiti sui finanziamenti a completa garanzia statale da 25.000 a 30.000 euro con tempi di rientro che passano da 6 a 10 anni e con l’introduzione della autodichiarazione sullo stato dell’attività d’impresa che esula le banche da ulteriori verifiche, la lotta impari con la burocrazia rischia spesso di inficiare anche le buone intenzioni del legislatore. Che a tentare di ricevere aiuti per la sopravvivenza siano per la maggior parte le piccole e micro imprese, pietra fondante dell’economia italiana più che in qualsiasi altra parte del mondo, si legge chiaramente nei dati: delle 555.000 richieste di finanziamento pervenute dal 17 marzo all’8 giugno, ben 503.660 riguardano i fondi garantiti al 100% dallo Stato, ma anche nonostante gli ultimi richiami del ministro per lo Sviluppo economico e del Mediocredito Centrale, che sottolineano come vadano erogati direttamente dalle banche senza attendere le verifiche del Fondo di Garanzia, così non sta accadendo sempre. Pur essendo pienamente solidali con i dirigenti degli istituti di credito, che spesso alzano paletti in mancanza di una manleva che li esuli dal rischio di denunce penali nel caso in cui chi ha ottenuto prestiti non li saldi nei tempi dovuti, non possiamo attendere oltre per questo innesto di liquidità. Non lo chiediamo per andare in vacanza, ma per fare sopravvivere le nostre imprese e le nostre famiglie: le piccole imprese richiedono liquidità a causa degli insoluti, per pagare i dipendenti e per pagare i fornitori.
Ricordando a tutti che la crisi che stiamo affrontando parte da lontano e non solo dallo scorso marzo, ritengo normale che la stragrande maggioranza dei piccoli imprenditori abbia nella sua storia sconfini sui fidi, oppure rate o riba inadempiute che bloccano di fatto gli iter procedurali. Per le segnalazioni, ora congelate con una proroga fino al 31 agosto, chiediamo un allungamento fino al 31 dicembre. Soprattutto nelle piccole realtà come la nostra, il direttore di banca sa chi ha davanti, sa da quanto tempo ha in piedi l’attività, se paga l’affitto e quanti dipendenti sono sul libro paga. Questo dovrebbe essere sufficiente, in questo momento, per erogare i finanziamenti bypassando i lacci internazionali di Basilea 3 e la spada di Damocle del Fondo di Garanzia, come tra l’altro è stato scritto dal legislatore. Davvero troppa poi la difformità delle decisioni da una banca all’altra, tanto che in settimana è dovuto intervenire il Capo del Dipartimento Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d’Italia per sollecitare gli istituti più reticenti chiedendo di attivarsi rapidamente per rimuovere eventuali cause di ritardo imputabili a loro carenze.
Queste grosse criticità si aggiungono ad una crisi già grave, fotografata dai dati sulle imprese della Camera di Commercio che sono sconfortanti. Dal 1° gennaio al 31 marzo 2020 sul territorio nazionale hanno chiuso 33.363 imprese (370 al giorno in questi tre mesi) di cui 16.198 del settore ingrosso e dettaglio tessile (179 al giorno in questi tre mesi). Nella nostra regione le cose non vanno meglio: nello stesso periodo hanno cessato l’attività 3.175 imprese, di cui 1.220 nel settore tessile, mentre nella provincia di Rimini sono state 246 le serrate, di cui ben 101 nel nostro settore. Numeri da fare accapponare la pelle, che rischiano di diventare ben più preoccupanti nei prossimi mesi, anche alla luce dei fatturati in calo verticale dopo la riapertura. Le conseguenze sono gravi, sia dal punto di vista economico che sociale, a maggior ragione se si pensa che tra poco finiranno anche la cassa integrazione per i lavoratori e il blocco dei licenziamenti. L’economia italiana si regge sulle piccole imprese e se venissero a mancare sarebbe una sconfitta per tutti, non solo a livello economico, ma anche dal punto di vista sociale e morale. Se un imprenditore non ha soldi e gli vengono negati i finanziamenti, rischia di andare ad ingrossare le fila di chi chiede aiuto ai canali illegali come gli usurai, oppure di fallire con tutte le conseguenze del caso. Nessuno si deve girare dall’altra parte: non facciamo che insieme all’economia vada a picco anche la tenuta sociale”.
Giammaria Zanzini, referente provinciale di Federmoda-Confcommercio, vicepresidente regionale e consigliere nazionale di categoria