“Pandemia, quattro anni dopo. A 1500 giorni di distanza dal primo lockdown, credo sia utile porre qualche riflessione generale e 'locale' su quello che resta di quel momento e che lezione ne è stata tratta. La prima, nonostante le tante belle parole spese, il sistema sanitario italiano rimane in uno stato di stallo. La pandemia ha impegnato il personale sanitario oltremodo, abbiamo scarsità di personale, e in regione dobbiamo ancora ammortizzare i costi del covid. Nella provincia di Rimini, dal 9 marzo 2020 ad oggi -come riporta l’analisi Lab 24 del Sole 24 Ore - si sono registrati quasi 194 mila casi di contagio, colpendo circa il 57% della popolazione, superando la media nazionale del 44%. Siamo stati tra le province più colpite, a dover chiudere prima, con due anni davvero complessi, con concittadini che hanno perso la vita, in un clima attraversato da angosce e paure, da quelle di salute a quelle economiche, connesse alle chiusure forzate e a inaspettati cambi di paradigma che rendevano l’orizzonte futuro molto incerto.
Quando il Covid ci ha travolto come Paese, abbiamo sentito dire che la sanità sarebbe diventata la priorità nazionale: invece le risorse messe a disposizione del settore rimangono insufficienti e la cronica mancanza di personale che nel pubblico rimane sottopagato, incentivando così un’emorragia di camici bianchi e di infermieri verso il privato se non all’estero. Tutto questo, nella totale assenza ad oggi di un piano organico strutturato di rilancio e di reale potenziamento della vocazione pubblica della medicina che non fa che acuire la condizione di precarietà in cui versano gli ospedali: situazione che poi si ripercuote di riflesso sulla tempistica delle prestazioni erogate, sull’efficacia delle cure ai cittadini fragili e sulla qualità del lavoro del personale sociosanitario, costretto a ritmi spesso massacranti. Non è per amore di critica che dico questo, ma è un “reportage” della realtà. Se non si investe su una svolta radicale, si rischia di mettere in discussione l’articolo 32 della Costituzione sull’universalità e gratuità delle cure agli indigenti.
La seconda lezione: ci serve un’organizzazione migliore e diversa, più vicina alla gente, soprattutto i più fragili. Nel nostro piccolo come distretto socio sanitario di Rimini abbiamo messo in campo un piano sperimentale a tal riguardo per non lasciare nessuno indietro e assicurare un’equità: questo si concretizza nelle creazione di tre case di comunità, nei Cau, negli 11 snodi territoriali che andremo a realizzare entro il 2026 (un unicum nel panorama italiano che speriamo possa fare da modello a livello nazionale) per implementare le attività a domicilio e potenziare la cifra ‘di vicinato’ dei servizi socio sanitari, una mappatura costante, con la sinergia anche dell’università, dei luoghi in cui c’è più bisogno di intervenire e altre misure che vanno nella direzione della prossimità. Una grande azione per avvicinare le cure ai cittadini nell’ottica di una maggiore accessibilità nonché di decongestione dell’afflusso nei pronto soccorso, affinché rimangano 'focalizzati’ sulle emergenze più estreme. Da Rimini ci siamo, ma serve uno scatto di consapevolezza in più, da parte di tutti gli ordini di governo, a cominciare da quello centrale: come ha dimostrato il Covid, solo insieme, lavorando di squadra, si possono vincere le sfide anche più difficili, accantonando pensieri ombelicali e schiacciati solo sul presente”.