Morire di tifo calcistico: può sembrare assurdo, ma è purtroppo un dramma frequente che ha radici antiche, risalenti addirittura all’antica Grecia. Di questo tema si occupa “Morti di tifo” di SimonPietro Giudice, una ricerca di data journalism che analizza il fenomeno del tifo violento e gli episodi in cui si è manifestato. Nel testo la storia dell’hooligan, il tifoso rude per eccellenza, è messa a confronto con quella dell’ultrà, e ne analizza i modelli, gli stili e la “kultura”. Il titolo gioca con la parola tifo, il cui significato è da intendersi a metà tra la sua natura epidemica e il fenomeno sociale. Nel corso degli anni la “malattia da tifo” ha richiesto numerosi interventi da parte delle autorità e delle federazioni calcistiche per cercare di contrastarne gli effetti devastanti. Il rapporto Taylor e il D.A.SPO. sono solo alcuni dei provvedimenti presi rispettivamente in Inghilterra e in Italia, dove i decessi di numerosi supporter hanno richiesto azioni specifiche e mirate. Tra le tante “morti di tifo” raccontate in queste pagine, ricordiamo quella del diciassettenne inglese Kevin Olsson nel 1974 e del diciottenne italiano Antonio De Falchi nel 1989. Rievocate anche tragedie come quelle avvenute all'Heysel nel 1985 e allo stadio di Port Said in Egitto nel 2012, insieme a tante altre quasi dimenticate. Ma il tifo non ha un'accezione esclusivamente negativa, in realtà è molto di più. La vita del supporter è segnata dai colori della propria squadra, dalle figurine dei calciatori, il fantacalcio con gli amici, i pomeriggi allo stadio tra partite memorabili e gol storici, e così via stagione dopo stagione. Tra le pieghe dei fatti tragici narrati in questo libro, la parte positiva del tifo riesce comunque ad emergere.