Sono numeri impressionanti quelli messi nero su bianco dallo studio pubblicato dall’Ufficio Scolastico Regionale dell’Emilia Romagna relativi alle segnalazioni di Disturbo Specifico di Apprendimento (più comunemente noto con la sigla DSA) nelle province dell’Emilia-Romagna. Lo studio prende in considerazione la decade 2012/2013 – 2022/2023, evidenziano un aumento netto e progressivo in tutta l’Emilia-Romagna, ma con un incremento quasi doppio di Rimini rispetto la media, già elevata, regionale.
Come evidente dalle tabelle sottostanti, le segnalazioni per DSA in provincia di Rimini sono sostanzialmente quintuplicate nell’arco di un decennio (+459%), con un andamento quasi doppio rispetto la media regionale:
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Rimini - provincia |
Emilia-Romagna |
2012/2013 |
696 |
9.830 |
2022/2023 |
3.199 |
34.931 |
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+ 459% |
+255% |
Andamento numero segnalazioni di Disturbo Specifico di Apprendimento e relativo incremento percentuale nelle istituzioni scolastiche emiliano-romagnole
dall’a.s. 2012/2013 all’a.s. 2022/2023 – Fonte USR Emilia-Romagna
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Rimini - provincia |
Emilia-Romagna |
Primarie |
+ 175% |
+150% |
Secondarie I grado |
+320% |
+271% |
Secondarie II grado |
+1.222% |
+655% |
Incremento percentuale segnalazioni di Disturbo Specifico di Apprendimento per ordine e grado nelle istituzioni scolastiche emiliano-romagnole dall’a.s. 2012/2013 all’a.s. 2022/2023 – Fonte USR Emilia-Romagna
“Si tratta – spiega Emma Petitti - di un trend in costante aumento che nella provincia riminese, pur in assenza ancora di dati ufficiali, si stima solo per quest’anno intorno al +9/10%. Se gli aumenti delle segnalazioni accomunano le varie province della regione, diverso è l'impatto all'interno dei territori, con difficoltà maggiori per i centri più piccoli”.
Serve una regia regionale e territoriale a supporto dei Comuni
“L’inclusione è un diritto essenziale – continua Petitti - ma per essere tale va sostenuto da adeguati interventi finanziari, che ad oggi mancano o sono strutturati con scarsa efficacia. All’aumento esponenziale delle certificazioni non è seguito un corrispettivo trasferimento economico ai Comuni e alle istituzioni territoriali. Per questo serve da subito un confronto con Regioni ed Enti Locali per eliminare le diseguaglianze territoriali e sostenere gli investimenti economici dei Comuni, in particolare i più piccoli. Il “peso” economico dei servizi di inclusione ricade infatti quasi totalmente sui Comuni, ed è chiara la discriminazione tra il potere di intervento di un Comune capoluogo, o comunque medio/grande, e uno piccolo, ancora di più se di vallata. Tradotto, le possibilità di avere lo stesso servizio rischiano di essere molto diverse tra le famiglie che abitano sulla costa e chi nelle valli del Conca o del Marecchia, questo non è accettabile. Il Governo allora, invece di riempirsi di un federalismo di facciata buono solo per piantare bandierine, incontri subito le Regioni e gli Enti Locali per programmare servizi e dare risposte ai bisogni reali delle persone. Starà a noi poi coinvolgere l’altro grande assente da queste partite, l’associazionismo dei famigliari che svolge un lavoro quotidiano fondamentale ma che viene colpevolmente ignorato quando si tratta di programmazione ed organizzazione dei servizi”.