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Cultura 20:27 | 19/04/2024 - Romagna

Riccione è pronta ad accogliere una nuova coinvolgente rassegna espositiva, “Vivian Maier Il ritratto e il suo doppio”, dal 20 aprile al 3 novembre 2024 a Villa Mussolini

La straordinaria  mostra, curata da Anne Morin con Alberto Rossetti, è promossa dal Comune di Riccione e organizzata da  Civita Mostre e Musei in collaborazione con diChroma photography e Rjma Progetti Culturali.  

“La mostra dedicata a Vivian Maier si inserisce nella grande stagione della cultura e degli eventi espositivi che  a Riccione sta portando alcuni tra i più grandi nomi della fotografia e della scena artistica internazionale.  Dopo il grande successo della retrospettiva di Robert Capa, Riccione ospita un altro straordinario  appuntamento dedicato alla fotografia e al talento di una delle più acclamate rappresentanti della street  photography. Vivian Maier ha trascorso tutta la vita nel più totale anonimato in cui ha colto e fissato col suo  obiettivo scene e personaggi di vita comune nelle strade di New York e Chicago. In questo anonimato ha  coltivato il suo talento, ha saputo cogliere l’essenza della vita comune in cui ha voluto rappresentare anche  se stessa, in maniera così straordinaria e moderna, e affermare la propria esistenza. Siamo orgogliosi di dire  che Riccione, con le sue residenze storiche di Villa Mussolini e Villa Franceschi e con una programmazione  culturale ambiziosa e apprezzata, si sta confermando sempre più come sede di importanti eventi espositivi,  capace di trasformare la città in una destinazione turistica e culturale tutto l’anno”, dichiara Sandra Villa,  vicesindaca e assessora alla Cultura del Comune di Riccione. 

92 scatti realizzati prima con la fotocamera Rolleiflex e poi con la Leica e alcuni video girati in Super8  trasportano idealmente i visitatori nelle strade di New York e di Chicago, dove i continui giochi di ombre e  riflessi mostrano la presenza-assenza dell’artista che, con i suoi autoritratti, cerca di mettersi in relazione  con il mondo circostante. Gli scatti raccontano la sua vita in totale anonimato fino al 2007, quando il suo  immenso e impressionante lavoro, composto da più di centoventimila negativi, filmati Super 8mm e 16mm,  diverse registrazioni audio, fotografie stampate e centinaia di rullini non sviluppati, venne scoperto in bauli,  cassetti e nei luoghi più impensati da John Maloof, fotografo per passione e agente immobiliare per  professione che li acquista un po' per caso, salvandoli dall’oblio e rivelando al mondo l’immenso patrimonio  fotografico di Vivian Maier.

In tutti questi scatti si riconosce un’ incessante ricerca per dimostrare la propria esistenza, non certo per una  rappresentazione edonistica, ma la disperata affermazione di sé e la fuga da un’esistenza invisibile. Grazie a  quel ritrovamento una "semplice tata” è riuscita a diventare, postuma, “la grande fotografa Vivian Maier”. In  tutto il suo lavoro, ci sono temi ricorrenti: scene di strada, ritratti di anonimi estranei e persone con cui  potrebbe essersi identificata, il mondo dei bambini - che è stato il suo mondo per così tanto tempo - ma  emerge un’ evidente predilezione per gli autoritratti. Lei stessa appare in molti scatti, con una moltitudine di  forme e variazioni, a tal punto da configurare una sorta di linguaggio all’interno del suo linguaggio. A  differenza di Narciso, che si distrusse nella contemplazione e nell'ammirazione della propria immagine,  l'interesse di Vivian Maier per il ritratto di sé è piuttosto una disperata ricerca della sua identità. Costretta in  una “invisibile non-esistenza”, a causa del suo status sociale, Vivian Maier ha silenziosamente e  discretamente iniziato a produrre prove irrefutabili della sua presenza in un mondo in cui sembrava non avere  posto. 

Riflessi del suo viso in uno specchio, la sua ombra che si allunga sul terreno, il contorno della sua figura: ogni  autoritratto di Vivian Maier è una affermazione della sua presenza in quel luogo particolare, in quel momento  particolare. La caratteristica ricorrente che è diventata una firma nei suoi autoritratti è l'ombra. L'ombra, quel  

duplicato del corpo in negativo, "scolpito dalla realtà", che ha la capacità di rendere presente ciò che è  assente. All'interno di questo dualismo, Vivian Maier ha giocato con il sé e con il suo doppio. E poiché una  fotografia, come ha detto Edouard Boubat, è "qualcosa di strappato alla vita", nel caso di Vivian Maier, i suoi  autoritratti accumulati configurano una precisa identità, che ora ha preso il suo posto in un presente  perpetuo, costantemente ripetuto e sigillato dalla Storia. 

Vivian Maier nasce a New York, il 1 febbraio 1926, i genitori presto si separano e viene affidata alla madre, che  si trasferisce presso un’amica francese, Jeanne Bertrand, fotografa professionista. Negli anni Trenta le due  donne e la piccola Vivian si recano in Francia, dove vive sino ai 12 anni. Nel 1938 torna a New York e per oltre  quarant’anni è solo una “tata francese” mentre, nella stanzetta messa a disposizione dalla famiglia presso  cui abita, coltiva una passione immensa: la macchina fotografica Rolleiflex poggiata sul ventre, e poi la Leica  davanti agli occhi. Riproduce la cronaca emotiva della realtà quotidiana. I soggetti delle sue fotografie sono  persone che incontra nei quartieri degradati delle città, frammenti di una realtà caotica che pullula di vita,  istanti catturati nella loro semplice spontaneità. La fotografia era il suo hobby totalizzante e ha finito per  renderla una delle più acclamate rappresentanti della street photography, collocata, nella Storia della  Fotografia, accanto a grandi fotografi come Diane Arbus, Robert Frank, Helen Levitt e Garry Winogrand.  In tutto il suo lavoro ci sono temi ricorrenti: scene di strada, ritratti anonimi estranei e persone con cui  potrebbe essersi identificata, il mondo dei bambini – che è stato il suo mondo per così tanto tempo – ma  emerge una evidente predilezione per gli autoritratti. Lei stessa appare in molti scatti. 

La mostra esplora proprio il tema dell’autoritratto di Vivian Maier a partire dai suoi primi lavori fino alla fine  del Novecento. Le sue ricerche estetiche si possono ricondurre a tre categorie chiave, che corrispondono alle  tre sezioni della mostra, allestite dopo un’introduzione biografica.  

La prima è intitolata L’OMBRA. Vivian Maier ha adottato questa tecnica utilizzando la proiezione della propria  silhouette. Si tratta probabilmente della più sintomatica e riconoscibile tra tutte le tipologie di ricerca formale  da lei utilizzate. L’ombra è la forma più vicina alla realtà, è una copia simultanea. È il primo livello di una  autorappresentazione, dal momento che impone una presenza senza rivelare nulla di ciò che rappresenta. 

Attraverso IL RIFLESSO, a cui è dedicata la seconda sezione, l’artista riesce ad aggiungere qualcosa di nuovo  alla fotografia, con l'idea di auto-rappresentazione; impiega diverse ed elaborate modalità per collocare sé  stessa al limite tra il visibile e l’invisibile, il riconoscibile e l’irriconoscibile. I suoi lineamenti sono sfocati,  qualcosa si interpone davanti al suo volto, si apre su un fuori campo o si trasforma davanti ai nostri occhi. Il  suo volto ci sfugge ma non la certezza della sua presenza nel momento in cui l’immagine viene catturata.  Ogni fotografia è di per sé un atto di resistenza alla sua invisibilità.  

Infine, la sezione dedicata a LO SPECCHIO, un oggetto che appare spesso nelle immagini di Vivian Maier. È  frammentato o posto di fronte a un altro specchio oppure posizionato in modo tale che il suo viso sia  proiettato su altri specchi, in una cascata infinita. È lo strumento attraverso il quale l’artista affronta il proprio  sguardo.  

La mostra celebra non solo il talento di una grande artista, ma invita anche il pubblico a riflettere sulla  bellezza della quotidianità e sull’arte di cogliere l’effimero. È a disposizione di tutti i visitatori una utilissima  audioguida che accompagna il percorso espositivo. 

Cronaca