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Opinioni 15:51 | 08/04/2019 - Dall'Italia

Come il Social è capace di trasformare un idiota in 1000 like

Idiota: persona che rivela una sconcertante stupidità. Stupidità: condizione di indisponente ottusità. Perché oggi la società è piena di idioti? Ci sono sempre stati anche in passato? Sovente mi pongo tale quesito e dopo innumerevoli analisi a proposito, sono giunto alla conclusione che la risposta è sì. Allora perché solo oggi me ne accorgo? Forse perché il mio percorso di maturità mi ha reso più saggio ed obiettivo? Oppure perché anni fa, forse, ero un idiota anch’io e non ne percepivo la presenza? La risposta si può sintetizzare in due parole. “Social Network”.

Sono figlio degli anni sessanta, ho trascorso la mia adolescenza nella “Milano da bere”, vestito da paninaro, con le cuffiette della Sony e le battute di Enzo Braschi al “Drive-in”, inebriato dalle tette di Carmen Russo, dall’obiettivo di “cuccare” e un giorno diventare “un qualcuno”. Certamente, visti con gli occhi della nuova generazione potevamo sembrare dei Grandi Pirla, ma per raggiungere questi nobili risultati, dovevi consumare vasche tra Piazza San Babila e Piazza Duomo il sabato pomeriggio (spesso con scarsi risultati) e impegnarti a scuola, e tutto questo senza lo smartphone. Non eri sveglio? Eri senza iniziativa? Non cuccavi! Non ti applicavi a scuola? Venivi “segato”! La prof convocava i tuoi vecchi? Erano cavoli amari! Esempi leggeri ma basati su princìpi elementari che sono il fulcro di ogni società evoluta che è in grado di valutare attitudini e lacune, non per questo emarginando chi ha una marcia in meno, ma anzi, trovandone la giusta collocazione nella comunità. Esistevano strati sociali non discriminanti, ma in sinergia tra di loro. I famosi “ruoli” erano alla base del motore del progresso, ruoli ben definiti e classificati a seconda di uno specifico iter formativo, età, esperienza e soprattutto rispetto.

Poi sono arrivati i “Social”, aperti sistemi di comunicazione di massa che hanno disintegrato lo stargate della cultura, conoscenza, professione e il relativo sacrificio speso per ottenerla. Chiunque è “libero” di scrivere e parlare, non curandosi delle conseguenze. Oggi è più interessante chi posta quante volte va al cesso che una notizia di cultura o approfondimento. Istruirsi, fare esperienza, avere obiettivi, concetti obsoleti, da matusa. “Sì, ho capito, ma il cesso ha 1000 like!”. Davanti a tale affermazione capisci che hai perso, un selfie griffato Pozzi Ginori vale più della tua maturità; e ti domandi: “ma perché quell’idiota ha successo?”. Perché quel cretino si dedica al cazzeggio pur avendo la conoscenza a portata di clic con wikipedia quando io per trovare una definizione dovevo spostare con un muletto tutti i volumi della Treccani? Perché oggi, LUI, è un “influencer”. Wow! Noi le chiamavamo “icone”, miti generazionali, nella musica, nella cultura, nello sport, anche in politica (vedi Cicciolina per i più alternativi). Rotocalchi patinati con immagini di Vasco, degli Spandau, dei Duran Duran, ma se pubblicavi Bono Vox seduto sul water forse le vendite degli album degli U2 avrebbero avvertitoqualche flessione. Ora al di là del cattivo gusto (anche se i grandi Helmut
Newton e Oliviero Toscani del dubbio gusto ne hanno fatto un must), fotografarsi avvolto in ceramiche e sciacquoni da perfetto sconosciuto e diventare un’icona, risulta difficile da capire e metabolizzare con l’aggravante se tutto ciò, paradossalmente, diventa altresì una fonte di reddito. Si parla tanto di fuga di cervelli, giovani talenti che lasciano il Bel Paese perché poco valorizzati e remunerati. E’ avvilente dover rinunciare alla nostra rara eccellenza intellettuale che ha fatto la storia del mondo, ma davanti a un sistema che poggia le sacre fondamenta su tronisti, youtuber e De Filippi varie non esiste salvezza, se non la fuga o un sefie in bagno da 1000 like.
Simone De Pietri