“Amor, ch’ a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m' abbandona” (Inferno, Canto V, ver. 103-105). Nella Divina Commedia Dante spinge Francesca a presentarsi, a far conoscere il suo peccato, a farci respirare il suo amore, e quello ricambiato per Paolo. Tanto violenta e peccaminosa fu questa unione che la sua intensità soggioga e vince la donna, e ancora non l’ abbandona. Il Sommo Poeta, nel secondo cerchio dell’ Inferno, eternizza Francesca. E nello stesso tempo sublima ed eleva il nostro spirito, rendendoci più misericordiosi di Dio. Forse Lui non la perdonerà, noi l’ abbiamo già fatto. La forza del sentimento fra I due innamorati è tale che ha superato le barriere della vita e della morte, continuando ad ardere in un’ altra dimensione. “Amor condusse noi ad una morte” (Inferno, Canto V, ver. 106), ma noi li sentiamo vivi, qui, e percepiamo il loro fuoco riuscendo a discenderlo dalle fiamme degli Inferi. “Quand’io intesi quell’ anime offende, china il viso, e tanto il tenni basso" (Inferno, Canto V, ver. 209-110). La perplessità di Alighieri dopo aver ascoltato le parole di Francesca si manifesta in un improvviso silenzio meditativo, ambisce ad’ indagare, sentire, conoscere le ragioni che hanno potuto trasformare il candore in una passione peccaminosa. Il Sommo Poeta, nel secondo cerchio dell’ Inferno, analizza la donna. Ma noi invece abbiamo placato la nostra smania di sapere. Lui nel suo viaggio spirituale vuole capire, mentre noi ci stiamo ancora saziando del loro amore che non ci abbandona. E da vivi, tremiamo, scottati dalla loro passione. Mentre Dante cade, “come corpo morto cade”, svenuto. È lì che si congiunge a Dio. Quell’ intenso sentimento di pietà che lo pervade interiormente, e fa chiudere il V canto con una perdita di conoscenza, minimizza la nostra misericordia. Indebolisce la nostra sazietà. Noi rimaniamo degli umili spettatori del suo viaggio, dagli Inferi fino al Cielo. Ma da spettatori vigili abbiamo la possibilità di avvicinarci al Sommo Poeta attraverso la mostra “Dante e la visione dell’ arte”, ai Musei San Domenico di Forlì, dal 1 aprile all’ 11 luglio. Un viaggio straordinario nella storia dell’ arte che ha raccontato, scolpito, ritratto Dante dal Medioevo ad oggi, per celebrarlo a settecento anni dalla morte. È una festa per onorare il Padre della lingua italiana, che immaginiamo vivo, e vicino a Dio. E senza peccato, possiamo saziarci di tale viaggio terreno spinti dall’ amore eterno verso il Sommo Poeta. Un Amor che ancor non c’ abbandona.
Stefania Bozzo