"Mentre è scattato oggi l'obbligo di green pass per andare dal barbiere, dal parrucchiere o dall'estetista, attendiamo il Dpcm che fisserà le deroghe per i servizi e negozi in cui il certificato verde sarà richiesto dal 1 febbraio. E da quel che si è intanto appreso, si profila l'ennesima iniquità nel trattamento delle varie merceologie, anche se capiamo che il senso è quello di spingere il più possibile i cittadini a vaccinarsi. La lista degli esercizi dove si potrà entrare senza Green pass base comprenderà alimentari, supermercati, ipermercati, farmacie, parafarmacie, benzinai, negozi di carburante per il riscaldamento, articoli per animali, ottici, mercati all’aperto, ambulanti ed edicole all’aperto. La motivazione che viene portata è che queste sono attività di prima necessità. E' indubbio, ma perché allora escludere, solo per fare un esempio, l'abbigliamento o le calzature o altri articoli? I cittadini possono fare a meno di abiti e scarpe? Resta poi l'obbligo di green pass per le tabaccherie, che vendono anche valori bollati, e non è questo un servizio necessario? Sulla definizione di “beni di prima necessità” abbiamo perciò molte perplessità. Già i saldi sono partiti in un periodo sfavorevole, molti clienti rimandano il momento dell'acquisto, non entrano nei negozi, o si rivolgono all'online. Nei piccoli esercizi commerciali non c'è certamente assembramento, gli acquirenti sono sempre meno e non si capisce proprio la necessità di questa discriminazione che penalizza solo alcune categorie di attività. Il risultato è creare ulteriori difficoltà ai commercianti che da due anni lottano per restare in piedi, sono tra coloro che più soffrono la crisi e che vengono gravati di continui oneri, non ultimo quello delle verifiche del green pass ai clienti. Occorrono invece sostegni e incentivi per contrastare il rallentamento della ripresa e il caro energia, a partire dal rinnovo delle moratorie sul credito".
Mirco Pari Direttore Confesercenti provinciale Rimini