Matteo Salvini ha chiuso il comizio di sabato scorso in Piazza Duomo tra vangeli e rosari fingendo di essere Carlo Magno. O meglio, auspicando di diventarlo. Con “Giuro di applicare davvero la Costituzione Italiana,
da molti ignorata e giuro di farlo rispettando gli insegnamenti contenuti in questo Sacro Vangelo” ha voluto sicuramente esaltare e tutelare una naturale identità nazionale basata su inappellabili valori cristiani. Ma, nel contempo, ha eccentricamente smascherato la sua smania da imperatore di un Sacro Impero leghista.
Già si vedeva, magari nella mattina di Pasqua, con la luccicante corona da premier delicatamente poggiata da Papa Francesco I, sotto il dorato baldacchino di San Pietro, circondato da parati a festa e contemplato da cardinali, Berlusconi, vescovi, la Meloni, cantori, Dudù, arcivescovi, forse Renzi, cortei trionfali, Ghedini, paggetti. Una visione che preferisce sfuggire anche da Salvini, sbiadendosi nel nascere. Perché se è reale
anche ciò che si pensa, qui l’immagine apocalittica ha preferito di gran lunga dileguarsi. Evidentemente l’arcivescovo di Milano Mario Delpini, quando ha pronunciato la frase contro il leader della Lega “Ai comizi si parli di politica”, non ha rimuginato solo un nervoso “Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. Ha acchiappato sicuramente anche l’immagine “cristian-leghista” che, ragionevolmente spaventata, ha preferito il Monsignore a Dudù. Un tale presagio ha spinto l’onorevole uomo di Chiesa a muoversi nella blasfemia pur di evitare un possibile Sacro Padano Impero sotto il comando di Matteo Magno. Extremis malis, extrema remedia. Perché giurare di rispettare gli insegnamenti contenuti nel Vangelo fa avvicinare Salvini anche al Messia (in effetti anche a Cetto La Qualunque). Ma comunque la si guardi è un concetto che di base non può stizzire chi dovrebbe nutrirsi per primo dei sacri precetti cristiani.
L’arcivescovo Mario Delpini, impreparato davanti alla visione, ha evidentemente subito l’impeto dell’emergenza. E’ stato travolto dall’immagine e ne ha arginato i limiti prontamente. Matteo Salvini non sarà mai Matteo Magno. E’ più facile che lo diventi Bergoglio, “Magno”.
Stefania Bozzo
Politica
13:16 | 16/02/2018 - Rimini