“Maleficent. Signora del male”, nelle sale cinematografiche dal 17 ottobre, è tutto sommato un film che sa stare in equilibrio, anche per un pubblico adulto. Forse perché niente è mai troppo; non c’è una pienezza nel bene, non c’è una pienezza nel male. Il fulcro del film è sulla carta il matrimonio tra la principessa Aurora e il principe Filippo, ma i due amanti non sono certo i protagonisti della pellicola che si regge sulle figure catalizzatrici di Angelina Jolie (Malefica) e Michelle Pfeiffer (la regina Ingrith). Le due Signore lottano
per conservare la loro radice malefica, e senza dubbio una delle due riesce ad ancorarsi di più alla sua volontà. Anche il male, come il bene, non ha basi solide ma vacilla alla ricerca di quello che non è. C’è un istinto che spinge a livellare tutto, in modo che i sentimenti non puntino troppo in alto, o troppo in basso. E in questo “Maleficent. Signora del male” è una fiaba veritiera. Si respira poco amore letterario, anche se i due non protagonisti si dichiarano perdutamente innamorati. L’amore per incarnarsi ed essere compiuto,
per fondere realmente due regni diversi, per trasformare una possibile emozione in qualcosa di veramente poetico avrebbe dovuto unire il “non unibile”. Ecco, il principe Filippo si sarebbe dovuto innamorare profondamente di Malefica, o comunque di una fata oscura a lei vicina. Perché nel film Disney nonostante si arrivi all’armonia moralizzatrice fra mondi diversi, anche l’amore mantiene comunque un suo patetico equilibrio. In questa fiaba non trovi il senso nell’amore, che rimane un pretesto fuori dalla storia; tutto si incentra nella forza del male di ribellarsi a se stesso. E in quest’ottica il matrimonio fra la bella principessa e l’affascinante principe è uno sforzo inutile, il patetico equilibrio del bene.
Stefania Bozzo