- Ho 18 anni, ho passato gli ultimi mesi del liceo in lockdown immaginando il dopo, ma anche pensando al prima quando non capivo quanto fosse normale la normalità. Le passeggiate, la partita la domenica, il sabato sera con gli amici la serata in discoteca, l'open day universitario. Adesso è molto meglio: il sapore di un gelato alla fragola lungo le vie del centro anche se all'ombra di una mascherina, è una sensazione che quasi non ricordavo. Un sollievo. Piano piano le giornate si sono fatte più tiepide e più luminose. Il Covid ha fatto spazio al sole e la paura alla convulsa impazienza di uscire finalmente di casa. Ma non è tutto: noi non siamo più gli stessi . Per forza, e come potremmo esserlo? Chi ha perso la vita, o vite care, ha indubbiamente ritrovato la voglia di vivere . Ma noi ora, chi siamo ? Noi che abbiamo guardato il nostro vicino come un estraneo e poi un lontano cugino è diventato il nostro migliore amico. Noi che abbiamo vissuto queste settimane accompagnati dal grido dei balconi inneggianti l'Inno che hanno cercato invano di coprire il gemito straziante degli ospedali. Noi che abbiamo dovuto abbandonare la scuola, ma che non non abbiamo mai smesso di studiare. Noi che abbiamo perso il lavoro, ma non la dignità. Noi seduti sul divano a guardare il notiziario sperando in una buona notizia è sempre noi che fra una settimana saremo in piazza o al bar, che avremo dimenticato tutto questo, ma che non avremo dimenticato niente. Perché diciamocelo, come potremmo mai dimenticare tutto questo è tornare a vivere con la spensieratezza e la socialita di prima? Un giorno questi mesi saranno un ricordo. Un tremendo ricordo di come le nostre vite si sono fermate cosi di colpo. Come una mattina ci siamo svegliati e non ci siamo preparati per andare a scuola o al lavoro, ma siamo rimasti in pigiama e allora e solo allora ci ricorderemo di questa primavera che non ha visto nascere fiori, ma gli uomini e le loro prospettive cadere -.