Dal rapporto fra oggetti, antropologia e arte nasce a Verucchio il primo museo dedicato alle cose ritrovate. Analoghi solo in Spagna e Francia. L’incontro di martedì scorso fra Stefania Sabba, sindaca di Verucchio e Gabriele Geminiani, patron del Green Festival Montefeltro e San Marino, avrà esiti sorprendenti. Presenti anche Nicola Strazzacapa ufficio stampa del comune e Federica Casoni, project manager della cooperativa Atlantide. Sul tavolo vi era un’insolita proposta, quella di creare proprio nella cittadella malatestiana il primo museo in Italia dedicato alle cose ritrovate. Il progetto dal carattere estetico-antropologico, prende le mosse da uno sterminato campionario di reperti che Geminiani ha raccolto sin dall'infanzia nelle spiagge invernali come nelle periferie urbane, con la tempra inossidabile del collezionista di vecchio stampo.
Senza voler anticipare troppo, chiediamo a Geminiani in maniera anche un po’ provocatoria, il perché di un museo sui rifiuti.
“Sicuramente perché le cose rifiutate, talora ridotte a frammenti e detriti, parlano di noi e della nostra storia recente, quanto le pagine di un trattato di sociologia o di antropologia. Oltre a avere un potere estetico ed evocativo straordinario che fa breccia nell'anima delle persone.”
Da dove arrivano i suoi reperti e che caratteristiche devono avere?
“Ho sempre subito il fascino delle povere cose abbandonate al proprio destino nei greti dei fiumi come sulle battigie invernali. Si tratta di cose logore delle quali mi ferisce profondamente lo stato di abbandono unito a quello del degrado, dello sfinimento.”
Cosa vedremo in questo originale museo?
“Vedremo tantissimi oggetti organizzati in vere e proprie opere d’arte, così come catalogati in set di bacheche al pari di reperti archeologici. E vedremo anche libri e libriccini a loro dedicati, taluni realizzati con la vecchia tipografia dei caratteri mobili, nati dalla frequentazione con poeti e artisti coi quali ho condiviso queste affinità.”
Lei organizza anche dei festival ambientali. Come può essere ecologico un progetto in cui si rischia una sorta di apoteosi del rifiuto?
“Il mio lavoro indaga il rapporto che c’è fra l’uomo e le cose. Al contrario di solo mezzo secolo fa, quando gli oggetti nascevano per durare e gli si conferiva una sorta di anima, oggi il rapporto con loro è totalmente ‘anaffettivo’, nel senso che non percepiamo il valore dell’oggetto, né tanto meno il calore. Sono oggetti omologati con una vita effimera, non facciamo a tempo ad affezionarci che sono già nel bidone, sostituiti da altri identici a loro. Oggi le politiche di cultura ambientale parlano unicamente di raccolta differenziata, mentre non puntano abbastanza sulla necessità di ridurre drasticamente l’acquisto e il consumo di cose e merci soggette ad una fine programmata. Questo mio percorso esprime esattamente la necessità di recuperare il 'vecchio' rapporto con le cose, affinché durino nel tempo.”
Come mai la scelta di Verucchio come sede?
“Sostanzialmente ci sono due motivi. Il primo, che io trovo sentimentalmente fondante, è la presenza a Verucchio del Museo Villanoviano, con un corredo di reperti straordinario. Questo parallelo fra archeologia del passato remoto e recente è suggestivo e può essere giocato in chiave di comunicazione. Il secondo motivo, che è determinante, è la visionarietà della sindaca Sabba, che ha intravisto nel museo un prodotto innovativo adatto ad un turismo culturale sempre di più a caccia di meraviglie e di emozioni.”
Per la messa a punto del Museo, si è creato un team di professionisti disposti a mettersi in gioco affinché queste piccole realtà museali, preziose forme di narrazione dei territori italiani, non vadano perdute. E in questo senso, tale museo, può a tutti gli effetti rappresentare un modello a cui ispirarsi