"Caro Diario, sono tornato dalla mia vacanza tra Spagna e Portogallo con alcune considerazioni tra il nostro turismo e il loro. La prima cosa che salta all’occhio è come la globalizzazione abbia colpito in maniera chiara tutte le nostre città. Se faccio una fotografia a qualsiasi parte commerciale del lungomare, posso collocare quell’immagine in qualsiasi città turistica senza capire quale sia. Stessa cosa per le vie del centro storico, tutte uguali nei marchi e nei loghi delle grandi catene. L’unica distinzione la trovo nella parte del piccolo artigianato, cioè quelle le professioni uniche dei territori e nei prodotti tipici locali.
I lungomari sono segnati in maniera inesorabile da strutture molto grandi e obsolete, figlie di un’era turistica votata alla massimizzazione degli alloggi da affittare, ma che oggi mostra i prezzi e l’estetica di un fine impero, più di una capitale del turismo. Il parco commerciale è fatto quasi interamente dai negozi-bazar, dai compro-oro, dai centri scommesse e dai kebab-pizza a poco prezzo. Resistono con dignità i ristoranti, quelli veri, che hanno saputo impostare una politica di identità forte e i locali che sanno differenziarsi gli uni dagli altri, creandosi una forte identità personale. In definitiva, la differenza tra Rimini, Huelva e Portimão è tutta nel mare.
Da questa piccola analisi personale sorge un ragionamento che va un po’ contro corrente rispetto a quello che si legge molto spesso sui giornali. La narrazione più gettonata vorrebbe il nostro lungomare costellato da strutture più grandi, con 100-120-150 camere che possano eliminare dal mercato tutte le strutture più piccole.
La lettura che vorrei offrire, come dicevo, vuole andare controtendenza.
Esiste un valore turistico fatto di identità, di territorio, di rapporto con la clientela, ma soprattutto di esperienza che le piccole strutture possono offrire, a volte molto meglio dei grandi alberghi. Ovviamente parliamo di strutture sane, che abbiano una gestione regolare e trasparente e uno stabile decoroso e adeguato al turismo.
Quando sento proclamare che tutte le piccole pensioni debbano scomparire o diventare alloggi per lavoratori mi vengono i brividi. Primo perché vorrebbe dire cancellare un’identità importante della nostra cultura turistica e in secondo luogo perchè non credo che avere 200 strutture per dipendenti sia economicamente sostenibile.
Se il problema della crisi delle piccole strutture è identificabile nella formula pensione completa, che costringe le strutture a tenere le cucine aperte con enormi costi di personale, questa problematica non deve affossare un tessuto turistico di enorme valore, ma vanno trovate soluzioni di sistema, che permettano di mettere in sicurezza i conti delle aziende e l’esperienza del turismo.
Il sistema comprende tutti gli attori in campo, dall’amministrazione alle associazioni di categoria e del territorio, che dovrebbero essere di supporto agli imprenditori disposti ad investire in nuove forme di turismo.
Dobbiamo uscire dalla logica della massimizzazione, che avvantaggia solo i grandi gruppi dal forte potere economico e che allo stesso tempo impoverisce il nostro tessuto sociale, togliendoci identità e professionalità.
PS: la foto è stata scattata a Tarifa, città di confine con l’Africa. Centro storico piccolo e ben curato, bar e ristoranti sempre pieni con un turismo completamente dedicato agli sport acquatici. Livello di sicurezza percepita altissimo. Turismo diffuso e a basso impatto visivo. Nessuno fa pensione completa, nessun mega albergo".
Stefano Benaglia