"Caro Diario, mi vorrei ricollegare al bellissimo servizio sulle cooperative di comunità trasmesso dalla rai. E’ evidente come l’impresa comunitaria montana sia stata la prima azione concreta di salvataggio dei territori dove la poca o scarsa attrattiva commerciale decretava la fine prima delle attività imprenditoriali e successivamente la fine della socialità urbana.
Quello che forse non è ancora stato percepito fino in fondo è che esiste un parallelo netto tra i borghi montani e le periferie urbane. Sono entrambe legate a un filo comune di difficoltà economica, di mancanza di progettualità, di scarsa attrattività imprenditoriale e da pericoli di infiltrazioni malavitose.
Prendendo ad esempio Rimini e portando sul campo l’esperienza di Pixel appare evidente come il modello comunitario sia una risposta ai bisogni di un territorio. Non “La Risposta”, in senso assoluto, ma una possibile strategia per aiutare i territori che in questo momento non vengono governati né dai cittadini e tantomeno dalle istituzioni. Perché è vero che ci troviamo di fronte ad un cambiamento epocale, non solo economico ma anche e soprattutto sociale, ma è necessario fare di tutto per governare questo cambiamento, realizzando confini ben chiari entro cui agire.
Lasciare fare al “mercato” è stata una strategia che definire fallimentare è riduttivo. In pochi anni il mercato ha rimpiazzato attività in salute con illegalità e degrado, demolendo completamente la nostra attrattiva turistica, perché si è basato tutto sul semplice valore economico nel brevissimo tempo, navigando a vista ignorando completamente l’orizzonte degli eventi.
Immagina, caro Diario, come sarebbe bello e stimolante avere un’impresa comunitaria in ogni frazione di Rimini che dia identità, che possa programmare investimenti, che possa creare lavoro e riqualificazione economica e sociale. Che possa soprattutto interrompere questo ciclo dissoluto fatto di mancanza di idee e di progettualità.
Inserendo l’impresa comunitaria in un contesto organizzativo più ampio sarebbe possibile monitorare la salute e la correttezza dell’operato della stessa organizzazione, garantendo un’evoluzione positiva dei rapporti tra cittadini, attività economiche e amministrazione.
Infine, una base sociale “ampia” garantirebbe il controllo qualitativo dell’operato etico e morale con il vantaggio di una ridistribuzione diretta ai soci di gran parte dei servizi offerti. Quello che deve essere chiaro è che parliamo di vere imprese, che devono fare economia e ricchezza per se stesse e per il territorio. Perché senza una gestione imprenditoriale si tornerebbe a delegare un presidio territoriale a slanci volontaristici che finiscono molto spesso o in una rinuncia oppure a storture personalistiche.
E’ arrivato il momento di riprendersi la nostra città perché, se non cambiamo rotta, tra poco non ci sarà più niente per cui vale la pena lottare".
Stefano Benaglia