E’ auspicabile che la cacciata da parte del sindaco di Massa Francesco Persiani dei suoi assessori (Turismo e Cultura) non sia veramente collegabile all’esposizione del quadro di Gesù in slip del pittore Giuseppe Veneziano, esposto a Palazzo Ducale il mese scorso. Perché, se così fosse, Persiani dovrebbe svestirsi dai panni di Vescovo della città e metabolizzare che le opere dell’artista contemporaneo sono provocazioni intellettuali senza nessuna minaccia ecclesiale. Il concetto di blasfemia inaridisce la proiezione artistica dell’immagine. Il Cristo in croce con un paio di slip leopardati marchiati “Dolce e Gabbana”, e con la scritta “Lgbt” (lesbiche, gay, bisessuali, transgender) al posto di “Inri”, può indirizzare verso una interpretazione non artistica volta alla ridicolizzazione del sacro. Oppure proiettare un “Gesù ostentato” che, ostentando un’esistenza impossibile, mette davanti la libertà dell’arte di denunciare qualcosa. D’altronde anche quel tipo di libertà ha valori sacri e religiosi. Non traspare in quel Gesù una esaltazione del male, né una dissacrazione dello spirito, ma è un grido che si fa carne e fumetto per mostrarci esistenze possibili ancora inchiodate. E la blasfemia rimane nell’occhio di chi guarda e quell’urlo non lo vuole sentire, è un riparo sicuro. Quelli slip leopardati antecedono la croce riuscendo addirittura a oscurarla, come se il senso andasse ricercato nelle mutande. Mentre è nell’insieme un’idea grafica quasi pubblicitaria, con uno schema preciso e una forte valenza simbolica. Una componente che accarezziamo anche nel Cristo Morto di Mantegna, che traspone nell’essenza veritiera di un corpo martirizzato anche il simbolo del dolore universale. Questione di prospettive, che possono deformare anche il divino senza per forza essere
blasfeme. Ma forse la prospettiva di Persiani si era compressa tutta negli slip.
Stefania Bozzo