Non importa se sono passati 500 anni dalla sua scomparsa, Leonardo da Vinci è un marchio più vivo che mai; un riferimento diretto della nostra modernità. Una certezza, nessuna essenza imprevista, qualsiasi stemma legato al noto artista conferisce al prodotto, o alla situazione, una cosciente familiarità. Leonardo arricchisce di virtù qualsiasi cosa gli passi davanti, e inevitabilmente guardando lui connotiamo quella cosa come certezza di qualità assoluta. Di recente gli studiosi hanno scoperto che il Maestro produceva vino attraverso un innovativo metodo scientifico di estrazione, oggi brevettato per una linea di 28 vini in 300mila bottiglie nei vigneti delle cantine Leonardo da Vinci, a Vinci. E anche semplicemente osservando la botte riusciamo a percepire come l’uomo vitruviano riesca ad assorbire quel legno, connotando immediatamente quel prodotto come eccelso. Se la mano del pittore è imperfetta, la sua mente è perfezione. E quindi, anche se in quel vino ci saranno semplici note sperimentali, con un equilibrio che virerà verso il dilettantismo e odorerà di ricerca a Vino Nuovo, noi avremo comunque la certezza di innalzare i calici verso Dio. Perché nelle sua viscerale competizione con l’Onnipotente, Leonardo c’ha provato anche con l’enologia. E anche se i suoi consigli a riguardo, “Il vin sia temperato, poco e spesso, no fuor di pasto, né a stomaco vuoto”, lo mettono in competizione anche con il nostro medico di base, è difficile non ascoltarli. L’idea della cantina e del Gruppo Cooperativo Caviro (che ha sostenuto il progetto) di usare le intuizione leonardesche, abbinate a nuove tecnologie enologiche, arricchisce ancora di riferimenti rinascimentali la nostra modernità. E quando il loro “divino licore dell’uva” ci passerà davanti “suave e odorifero”, magari non sarà perfetto, ma ci proietterà comunque l’immagine ideale del Genio. Con un calice alzato, verso Dio.
Stefania Bozzo