E’ ormai dalla crisi economica del 2008 che tutte le reti di relazioni economiche e sociali si sono sfilacciate. Associazioni economiche, sindacati, stampa e media sono da anni in difficoltà economiche e questo si ripercuote sulla qualità della nostra democrazia senza che ce ne accorgiamo. I “social” con la scusa della trasparenza e dell’accessibilità alle informazioni hanno creato un popolo virtuale di “becconi” nutriti a fake news. Anche nel nostro piccolo questo sta succedendo. Ogni certezza, ogni convinzione che aveva guidato lo sviluppo delle nostre comunità è stata stracciata. Non ci sono più mestieri sicuri, chi appartiene alla mia generazione e a quelle prima, è cresciuto con la convinzione che se raggiungevi il “posto sicuro” eri a posto per la vita, lavoro in banca, il posto fisso in Comune e così via. Oggi quel mondo non esiste più. La tecnologia e la crisi di cui dicevo sopra le hanno distrutte. Le imprese, i lavoratori e le famiglie sono schiacciate dalla paura per il futuro e per le risposte che la politica ha difficoltà a dare nei modi e soprattutto nei tempi necessari. Non è un caso che mai come oggi nel nostro Paese la fiducia a questo o quel partito, a questo o a quel leader è così veloce a crearsi e altrettanto a svanire. In una situazione così complicata cosa si può fare per provare a ricreare un minimo di fiducia e speranza per le nostre comunità? A livello locale negli anni si è molto lavorato per realizzare opere pubbliche ed iniziative il cui obiettivo era la razionalizzazione dei servizi e con la esplicita volontà di creare moltiplicatori economici per il territorio con le classiche caratteristiche dell’efficienza e dell’efficacia. La nuova Fiera, il Palazzo dei congressi, la Darsena, il Centro Agro Alimentare, i poli scolastici della Colonnella e di Viserba solo per fare alcuni esempi. Anche il nostro Piano Strategico in fondo è nato con quell’obiettivo. Oggi con la crisi del COVID-19 sta emergendo in maniera evidente che abbiamo tralasciato quegli aspetti che allora forse sembravano scontati ma che oggi scontati non lo sono proprio più, mi riferisco alla dimensione relazionale e identitaria, in altre parole il senso di comunità. La rabbia e la paura, sentimenti più che giustificati per la situazione di isolamento che abbiamo e stiamo vivendo, penso debbano trovare nelle comunità locali quel senso di appartenenza e quella dimensione identitaria che permettono alle persone di conoscersi e riconoscersi. La nostra città che negli ultimi decenni è notevolmente cresciuta in termini di residenti, sta pagando molto lo scotto del non conoscersi più. Una volta tutti ci si conosceva, oggi è complicato non solo conoscere i residenti nella propria via, ma anche i condomini che vivono sullo stesso pianerottolo. Credo si debbano mettere in cantiere delle idee e delle proposte che vadano a colmare questi vuoti. Fino ad una decina di anni fa esistevano nel Comune di Rimini i “QUARTIERI” che con tutti i loro limiti riuscivano a mantenere e coltivare quel livello di reti relazionali legate alla gestione della cosa pubblica e che svolgevano in parte questo ruolo. Penso che si debba provare a costruire dei luoghi che partendo dalla dimensione territoriale possano provare a rimettere in circolo quella socialità che è venuta meno. Soprattutto le giovani generazioni dovrebbero essere coinvolte come protagoniste di queste iniziative, bisogna costruire luoghi in cui i giovani possano formare la dimensione delle relazionalità pubblica, attraverso il confronto con idee e punti di vista diversi. Oggi le giovani generazioni non hanno luoghi in cui possano sperimentare il confronto, lo scontro democratico e la costruzione di iniziative condivise frutto della mediazione attraverso la dimensione “fisica” delle relazioni. Penso che se vogliamo delle comunità più coese in futuro, dobbiamo oggi lavorare in questa direzione.Se osserviamo la quotidianità, la partecipazione non è diminuita negli anni ma cambiata. Nel nostro Paese la voglia di partecipazione non ha abbandonato la politica, ma solo i partiti, che sono soltanto una delle forme di pratica delle attività di interesse collettivo. Quindi alla fuoriuscita delle persone dalle sedi dei partiti (gli iscritti ai partiti non sono mai stati così pochi nella storia repubblicana) ha fatto seguito in modo quasi speculare un ingresso di persone nelle sedi di associazioni e comitati di vario tipo, e la voglia di partecipare , di dare il proprio contributo si è evidenziata nel sostegno a piccole cause, a volte solo simboliche. Anche l’esperienza dei CiViVo anche se lodevole non è in grado di sviluppare quel tipo di esperienza relazionale , come non lo è la possibilità di indire referendum su temi cittadini come previsto dallo statuto comunale, procedure costose ed impegnative. Occorre ripensare a veri e propri luoghi della comunità, punti di riferimento della quotidianità e della vita che si sviluppa nei nostri quartieri. Luoghi di incontro, di progettualità condivise, di servizi decentrati ai cittadini che aiutino anche lo sviluppo di buone pratiche come il lasciare l’auto a casa perché non necessaria e privilegiando mezzi ecologici come le biciclette .L’esperienza del Piano Strategico, approvato nel maggio 2010, univa partecipazione e condivisione, poi l’evoluzione nel masterplan come riferimento per l’azione amministrativa ha dato si una direzione di marcia ma al contempo ha ridotto in modo drastico la partecipazione e la condivisione da parte della comunità riminese. Anche la seconda fase del Piano Strategico sta mostrando grossi limiti da questo punto di vista. Strumenti importanti ed esperienze da cui ripartire certo, ma per costruire una nuova stagione di partecipazione e coinvolgimento reale che non si limiti ai soli rappresentanti di questa o quella sensibilità. Le forme possono essere molteplici, non necessariamente costose, non limitano l’azione di governo ma la rafforzano. Nelle prossime settimane avanzerò anche alcune idee e proposte su come sviluppare concretamente democrazia, governo delle città e partecipazione attiva dei cittadini.
Juri Magrini Consigliere Comunale Rimini