Donald Trump sembra un’opera di Picasso all’apice del Cubismo, quando il pittore deframmentava talmente tanto l’immagine da perderne completamente la sua definizione. Che poi possono venire a raccontarci che si tratta di una dama, di un clarinetto, del volto di un pagliaccio, di una sedia vista di lato; toccato il limite della scomposizione figurativa, siamo onesti, non è che un dipinto cubista si capisca poi così tanto. Così come non si capisce poi così tanto come sia stato possibile che Donald Trump sia diventato il Presidente degli Stati Uniti d’America. E’ veramente lui il capo di una delle maggiori potenze mondiali? Se lo deframmenti e poi cerchi di ricomporlo non solo perdi completamente la sua definizione, ma ci perdi la testa e anche il sonno. Ricollegando i suoi twitt, le sue azioni, i suoi atteggiamenti non vedi un Presidente, riesci vagamente ad immaginarti il volto di un pagliaccio. Tra il silenzio assordante per il funerale di Floyd, le
illazioni su possibili provocatori di Antifa, siringhe disinfettanti e idrossiclorochina, incentivi alla violenza, a riordinare i frammenti di Trump ci avrebbe rinunciato anche Picasso. Ci sono dei quadri che sarebbe bene non dipingere. Nell’ultimo cubo insensato di Trump c’è il via libera a ciambelle e fari per stanare e uccidere cuccioli di orso e lupo in Alaska, quindi i cacciatori americani presto potranno tornare nei parchi nazionali ad usare di nuovo quelle pratiche crudeli e disumane che erano state messe al bando dall’amministrazione Obama. Un giorno Picasso sostenne “credo di sapere cosa si prova ad essere Dio”, evidentemente per un attimo il pittore ha perso completamente anche la sua definizione artistica, tanto da sentirsi vicino all’Altissimo. La differenza con Trump sta tutta in quel “credo”, il Presidente degli USA ne ha la piena certezza. Tra i suoi frammenti lui vede Dio, noi vagamente il volto del pagliaccio.
Stefania Bozzo