L’Ottocento è caratterizzato da una singolare tendenza dell’arte italiana a collocarsi tra la storia e la sua percezione. Ferma come una sentinella nel suo spazio sembra voler fissare ogni identità locale sbandierando l’orgoglio di un nazionalismo che non c’è. L’Italia è unita ma l’arte è secessionista e frammentata. “Ottocento. L’arte dell’Italia tra Hayez e Segantini”, ai Musei di San Domenico di Forlì fino al 16 giugno, è una mostra con un’anima che va controcorrente; l’apoteosi artistica della dissociazione storica. Ogni singola corrente regionale s’impone con la volontà di arginare i propri limiti; sono spaccati di storie che catturati insieme più che l’Unita d’Italia voluta da Cavour fotografano ogni singolo orticello. “Ottocento. L’arte dell’Italia tra Hayez e Segantini” è una esposizione che spinge all’analisi di ogni condizione sociale che è in quel tempo, ma anche fuori da esso. Il dipinto “L’Alzaia” di Telamaco Signorini, in mostra, rappresenta dei braccianti che trascinano faticosamente una chiatta lungo l’argine dell’Arno con sullo sfondo un uomo elegante e la sua bambina; un confronto tra condizioni umane che evoca un realismo non direttamente ancorato alla storia. Il Romanticismo italiano è anche un Romanticismo tiepido. Niente a che vedere con il rivoluzionario Romanticismo inglese tra le tempeste di Turner e le sensoriali campagne di Constable, nessun impeto d’esaltazione e sgomento derivato dalla pittura tedesca di Friedrich, né la forza ideologica di Delacroix e Gericault. Se i citati sono i simboli forti del gusto di un’epoca, a noi è toccato Hayez. E nella meditazione che prevalentemente investe i suoi ritratti di donna dobbiamo cogliere quell’aurea di ambiguità che si affaccia alla storia, l’unica immagine squisitamente politica che unisce l’Italia dell’Ottocento.
Stefania Bozzo