“Pino Daniele è” perché in realtà non ci ha mai lasciati, continua a farsi sentire in un’aria che è cambiata, densificandosi, perché si è intrisa della solennità della vita che c’è nella mancanza. Il suo canto integra ciò che non c’è, annullandone l’assenza. E i punti essenziali della poesia sigillata nelle sue corde si fanno scrigno, al quale possiamo attingere in privato per percepirne ancora la sua presenza. E in questi tre anni dalla sua perdita il rapporto tra lui e il suo pubblico si è intensificato; diventando più riservato, confidenziale, segreto. La dimensione privata ha sacralizzato i suoi versi, fondendo parola e musica in qualcosa di eterno, impossibile da fermare. Il suo è un canto involontario plasmato da percezioni trattenute, raccolte, mai perdute. Emozioni che non vogliono essere ermetiche ma che fanno nascere corpi, evocano immagini. Immagini per lui, e private tra noi e lui. “E te sento quanno scinne scale, e corza senza guardà, e te veco tutt’è juorne ca ridenno vaje a faticà” (Quanno Chiove), e la scena vive talmente tanto nella canzone che inevitabilmente ci sbatti addosso. L’immagine si concretizza e senti l’aria che “s’adda cagnà”, aspettando che piova. “Tu dimmi quando, quando, non guardarmi adesso amore son stanco perché penso al futuro” (Quando), e lo vedi lì, pensieroso, che guarda un futuro che è già oggi. I brani di Pino Daniele sono i film di un’anima che ci gira intorno, più pressante di prima. E ci sembra di riuscire ad afferrarla, che voglia essere afferrata, adesso più di ieri. E Napoli è tutta per il cantante in un concerto che
onora pubblicamente il privato di quell’anima che inevitabilmente sbatte addosso alla nostra.
Stefania Bozzo
Spettacolo
11:52 | 16/04/2018 - Romagna