“Vogliamo lavoratori a basso prezzo con poche pretese e con elevata cultura del lavoro”. Ma cos’è questa cultura del lavoro se non un nuovo schiavismo?
Demonizzando i giovani e le loro richieste di tempo libero, che poi non è altro che tempo di vita, gli imprenditori di Rimini hanno ancora una volta che l’unica cosa che hanno a cuore è il profitto.
Il sacrificio per gli altri e il guadagno per pochi.
Certamente il lavoro, e non lo spritz, migliora le persone ma il lavoro va pagato, non si può pretendere un lavoratore con esperienza al costo di un apprendista, non si può considerare il giusto salario e la giusta formazione come dei costi da abbattere.
I giovani oggi hanno a che fare con offerte di lavoro imbarazzanti, stipendi da fame, condizioni contrattuali al limite dell’illegale, prospettive di crescita pari a zero e formazione professionale inesistente.
I dati recentemente pubblicati dalla Provincia e relativi all’anno 2022 mostrano un quadro diverso da quello dipinto da Confartigianato. Nella nostra provincia il reddito medio annuo di un lavoratore dipendente è pari ad € 14937,00, con forti differenze di genere. La media italiana, sempre per il reddito da lavoro dipendente è di € 20658,00: stiamo parlando di circa il 50% in più. Questo non dipende certo dai giovani che non hanno voglia di sporcarsi le mani. Tanto più che la percentuale di giovani tra i 15 ed i 29 anni che non studiano e non lavorano (NEET) è pari al 55,3% a fronte di un valore regionale del 55,9% e nazionale del 60%.
A fronte di questi dati la narrazione di Confartigianato non regge più.