Tra poco più di un anno sarà terminato uno dei più importanti piani di sviluppo dei servizi educativi della nostra città, con l’apertura di tre nuovi nidi pnrr e il conseguente ampliamento dei posti disponibili. Interventi per cui poi sarà necessario intervenire anche con l’adeguamento del personale educativo. Un tema che nell’ultimo anno, alla luce di nuove discutibili normative nazionali (parlo dell’inserimento del titolo della laurea, e dell’introduzione dell’albo per le figure degli educatori socio-pedagogici), sta diventando particolarmente critico. L’Amministrazione ha avviato una serie di riflessioni sulla situazione riminese, inserendosi nel dibattito nazionale con alcune sottolineature legate al contesto locale.
Il quadro riminese
A Rimini il personale in servizio nei nidi e scuole di infanzia comunali è formato da circa 70 educatrici e circa 70 insegnanti, per un totale di 140 professioniste. Nelle scuole d’infanzia l ’età media è alta, un terzo di queste ha più di sessanta anni e la più giovane ne ha quaranta. Nei nidi il 20% (un quinto) ha più di sessant’anni e la dipendente più giovane ne ha 27. Chi già ci lavora nella maggior parte dei casi non ha i nuovi titoli previsti e, contemporaneamente, sono troppo pochi le giovani e i giovani che escono dai corsi di laurea abilitanti.
Nonostante un bisogno in aumento si riscontra già a Rimini, così come in tutta Italia, la difficoltà a reperire nuovo personale; un rischio concreto, così come dimostrano recenti concorsi, anche in realtà regionali vicino a noi. Tradotto, una volta inaugurate le tre nuove strutture per l’infanzia in corso di realizzazione, potremmo trovarci nella paradossale situazione di non trovare chi assumere per farle funzionarie.
Fatta salva ovviamente le buone intenzioni dei legislatori, mi chiedo però come si possano avviare e approvare percorsi normativi così impattanti sulle comunità senza nemmeno un confronto con l’Anci e con le Regioni. Scelte calate con troppa leggerezza dall’alto e che penalizzano professioniste e professionisti, famiglie e territori.
Si tratta infatti di servizi a forte connotazione locale, con esigenze e potenziali molto diversi. L’altro tema, l’istituzione dell’Albo degli educatori, nato per normare situazioni un po’ controverse in certe realtà del paese, penalizzerebbe quelle che, come Rimini, non solo sono da tempo ampiamente in regola dal punto di vista contrattuale, ma hanno sviluppato negli anni una esperienza interna anche in chiave formativa, facendo inoltre gravare sulle spalle dei lavoratori costi e burocrazie che fatico a leggere come strumenti di crescita professionale. Il nostro è un giudizio critico e preoccupato.
Realtà come Rimini, sia per l’esperienza maturata dai propri servizi per l’infanzia, ma anche per la presenza nel nostro Campus universitario di un corso di laurea per educatori, avrebbero potuto dire la loro in un serio confronto istituzionale. Non so quali possano essere le realistiche possibilità di revisione e correzione, ma in ogni caso Rimini si candida a dire la sua, portando buone prassi ma anche gli oscuri scenari a cui queste norme ci esporranno nel futuro prossimo.