Quando esco dal confine riminese e per fortuna lo sfaccio spesso perché viaggiare è crescere, mi piace entrare in sintonia con le realtà locali fidandomi del mio sesto senso. Mi piace andare alla radice, al cuore, entrare nella storia, nella tradizione, nella cultura di quel luogo, di quel sito. Mi piace guardare negli occhi la gente, osservare come vestono, come parlano e possibilmente quello che mangiano e bevono. Inutile che vi parli del turismo enogastronomico. Il mio maestro, il Conte Fioraio da Coriano avrebbe detto: l’ho inventato io. La mia battaglia, anzi le mie battaglie a livello dialettico, verbale, giornalistico, sindacale sono sempre state legate alla mia terra. Adesso è facile fare i fighi e soprattutto le fighette rurali tacco 12. Andiamo di moda da bestia. Ma rurali sempre non è stato facile. La terra è qualcosa che ti appartiene, che senti dentro come la squadra del cuore, la fede politica, la mamma. Per farla corta: un signore molto attivo nel campo della ristorazione di cui logicamente non dirò il nome, ma solo il cognome nei suoi ristoranti propone come prima scelta la Carta dei Vini del Riminese. Punto. Molto semplice, molto corretto, molto successo. Il signore viene dalla Val d’Ossola. Ha insegnato ai riminesi come si fa ristorazione e non solo. Si è sposato con una ragazza molto brava della Valconca. Vi aspetta all’Arco d’Augusto. Chiedete dello Zio. Il cognome? Canzian.
Rurali sempre
Enrico Santini