“La chiave dei campi” di Magritte (1936) è un olio su tela che rappresenta una finestra rotta, contornata da una tenda rossa, che si affaccia su un paesaggio collinare con alberi e arbusti; i vetri sparsi sul pavimento interno della stanza riproducono ciascuno una parte dell’ambiente. Non è ricercata una prospettiva reale, impossibile il riflesso, ma il senso surrealista dell’artista riproduce con un espediente interno l’immagine di un esterno sgretolato in tutte le sue parti. L’opera è la chiave di una situazione estremamente attualizzabile. Centinaia di alberi sono caduti lo scorso fine settimana a Roma a causa di eccezionali raffiche di vento che si sono abbattute sulla Capitale; 1100 interventi da parte della protezione civile e dei vigili del fuoco del Lazio, quattro morti nel territorio regionale, dissesti statici, viabilità in cortocircuito. Il paesaggio si sta rompendo mentre noi ci specchiamo sui vetri dell’illusione. Le colpe? La Raggi, la cattiva amministrazione, gli alberi vecchi-malati-fascisti, perfino i giardinieri comunali. Ma “Anche se mi persuadi non mi convinci” (Aristofane). E’ come scrutare “La chiave dei campi” di Magritte e concentrarsi sulla tenda rossa cercando di trarne qualsivoglia spinta artistica. E invece è maledettamente più reale la scena surreale che ci mostra la ribellione di un paesaggio interno che si stacca da qualsiasi proiezione, frammentandosi a terra, dissezionandosi. Se non verranno considerate rigide politiche ambientali nel concreto a livello globale, e la reale convinzione che i cambiamenti climatici sono implacabili, ognuno nella propria stanza continuerà a guardare quella tenda rossa. Illusoriamente dall’interno, anche se gli alberi ci cadono in testa. La chiave surrealista per scalzare quel vetro rotto che ci riflette il reale.
Stefania Bozzo