L’unico modo per guardare le opere di Hieronymus Bosch, il geniale pittore olandese, è con occhi sicuri e coscienza certa. E’ impossibile non essere estasiati, e nello stesso tempo traumatizzati, dalla trasparente grandezza di tale genio antico ma surrealista. I suoi dipinti sono visioni che coinvolgono tutti gli strati dell’esistenza, la raccolgono; e come spettatori siamo spinti a cercarne i pezzi sulla tela. Scrutare un’opera di Hieronymus Bosch è uno sforzo perché le immagini non si fanno passare accanto; con lucidità ci costringono a cercarle. Le visione dell’artista sono delineate e chiare nella loro complessità, mentre essere fuori della tela risulta essere spesso ben poco delineato e paradossalmente più surrealista. E’ surreale, ad esempio, che secondo le previsioni entro il 2050 nei mari del mondo ci sarà più plastica che pesci e che il Mediterraneo rappresenti un’area trappola con livelli di inquinamento spaventosi; il 95% dei rifiuti che soffocano habitat e specie è costituito da materiale plastico. Una follia. Stiamo navigando sulla “Nave dei folli” (H. Bosch, olio su tavola, 1494) verso un destino ignoto ma certamente devastante. Siamo dentro al quadro di Bosch, ma ci sentiamo fuori. E nemmeno ci cerchiamo. Perché di fatto la mancanza di una coscienza certa, collettiva, profondamente sentita sulle gravi tematiche ambientali ci fa salire su quella nave; entrare in quella piccola tavola conservata al Louvre con l’illusione che la plastica nelle nostre acque non sia qualcosa di drammaticamente surreale. Il surrealismo lo confiniamo all’arte. Guardare con occhi sicuri la “Nave dei folli” per cercare un pezzo della nostra collettiva umana follia è un piccolo passo verso una certa coscienza ambientalista. Che ci unisce a quel mare, sulla nave di Bosch.
Stefania Bozzo