“Chi ha il potere di farlo, ponga fine a queste violenze”, sono le parole di mons. Laurent Birfuore Dabire, vescovo di Dori, dopo l’ennesimo attacco anticristiano avvenuto in Burkina Faso. Il fatto. 27 giugno. Diocesi di Ouahigouya. Un gruppo di cristiani colti in preghiera da un gruppo di fondamentalisti sono stati costretti a sdraiarsi per terra. Indossavano le croci. Sono stati seviziati e uccisi, in quanto cristiani. Se tale tragedia fosse successa a Roma in questo momento staremo tutti piangendo, dibattendo sulla crudeltà e le
ingiustizie umane, commemorando la nostra fede a candele spianate, santificando i nostri morti. Ma il fatto è successo a Ouahigouya, nome già di per se difficile da ricordare. Non è una riflessione sulla negazione della fede ma su come Ouahigouya sia un anti-spazio. Evidentemente il mondo, anche religioso, è diviso in spazi e anti-spazi; in materia e anti-materia. E nell’anti-materia cristiana il canto degli emarginati è sicuramente percepito ma di per se è nel concreto impalpabile. E’ un dato di fatto che se muori in alcune parti, anche da santo, sei morto, ma pur sempre un po’ meno. Sei un martire senza peso, perché nell’anti-spazio. Questa mattanza non si differenzia per gravità dalle altre tragedie criminale causate dalla miseria umana, ma ha sicuramente una matrice cristiana che deve diventare materia. Chi sono queste persone? Che si cerchino i nomi, che vengano glorificati, che si conducano nello spazio; in quello spazio dove è possibile percepire il peso del loro martirio. Queste anime devono essere innalzate in una San Pietro gremita per farci capire la nostra inadeguatezza. Sono morti nel nome della croce. Quell’anti-spazio in realtà contiene il vero sangue di Cristo. Mentre il nostro spazio lo esalta, impalpabile, da lontano.
Stefania Bozzo