Il paesaggio di Giorgione è un paesaggio puro. La sua celebre Tempesta (dipinto a tempera, 1502/1503, Gallerie dell’Accademia Venezia) è il primo grande paesaggio moderno; l’ambiente si antepone alla sacralità di qualsiasi altro elemento pittorico. Per la prima volta nella storia dell’arte l’uomo indietreggia, ponendosi nell’ambiente con casualità. Chiunque voglia attribuire significati metaforici o allegorici alle uniche due figure presenti nel dipinto, la zingara e il pastore, intraprende uno sforzo sviscerale che non gli consente di assaporare la trasparenza di una interpretazione semplice e schematica. La natura colta dalla forza impressionistica di un fulmine. Ed il fulmine è arrivato anche oggi con i dati dell’Onu sullo stato di salute del Pianeta. Nel Global Environment Outlook, a cui hanno lavorato per sei anni 250 scienziati di 70 Paesi diversi, si legge che un quarto delle morti premature e delle malattie registrate in tutto il mondo sono legate ai danni dell’ambiente di matrice antropica. E non possiamo coralmente dire che sia un fulmine a ciel sereno, è tutto davanti ai nostri occhi ma spesso è più facile riconoscere Adamo ed Eva nella Tempesta di Giorgione che la semplicità di figure che rappresentano semplicemente quello che sono. Allora il “global warming” diventa cospirazione, i cortei e gli scioperi simboli di una società fragile e manipolabile, gli studi scientifici letteratura critica. Giorgione ha rappresentato nell’arte un fenomeno naturale rendendosi custode di un Creato puro, dando la percezione di una umanità che si adagia casualmente tra le pieghe di un ambiente incontaminato. A distanza di 500 anni la percezione di quella natura è drammaticamente cambiata perché la purezza oggi è incustodita. E’ difficile preservarla perché non accettiamo di essere quel pastore, o quella zingara. Ambiamo al cielo, credendoci la Tempesta.
Stefania Bozzo