La campagna nazionale di Pro Vita e Generazione Famiglia “per il diritto dei bambini a una mamma e un papà” è un’anti campagna. Ha tutta la forza oscurantista di una battaglia che si raggiunge quasi negandola.bL’impeto di una guerriglia che si muove con l’intento di proliferare la loro personale visione del bene,battraverso l’oggettivazione, con i mezzi del male. Perché l’immagine apparsa nei manifesti a Roma, Milano, Torino in cui appaiono due giovani ragazzi che spingono un carrello con dentro un bambino disperato e additati come “genitore 1” e “genitore 2” diventa uno strumento noir che deforma la loro sensibilizzazione. Che indurisce così tanto i loro intenti da convincere anche i più scettici che tutto sommato i genitori gay vanno protetti dalla forza del bene a tutti i costi. Quel che nasce come una difesa si incarna e si concreta in una interpretazione limitativa che ricerca a tutti i costi la formula dell’oggettività familiare della perfezione, mostrando l’altra faccia, quella delle loro grigie proiezioni. La fine dei tempi, l’Apocalisse familiare, il girone gay dei dannati, creature celesti marchiate dal fuoco del peccato. Quel manifesto è inquietante come le copertine di “Svegliatevi!”, l’inferno di Bosch, la locandina di Scream o il pianto della Fornero. E quell’urlo fanciullesco, ideato dalle associazioni promotrici del Family Day, è solo il frutto di un esasperato espressionismo calcolato su precetti del bene che scorgono dalle loro visioni. Magari quel bimbo può ridere di una gioia vera tra il “genitore 1” e il “genitore 2”, anche se non fanno una madre; ma per chi vede proiettandosi nel male essa (la gioia) non c’è anche se c’è. Ed è una campagna lampante, su quello che loro non vedono.
Stefania Bozzo
Opinioni
11:31 | 23/05/2018 - Dal Mondo