Qualsiasi riflessione sulla tragedia del fuoco in Grecia risulta irragionevole, aggiungere parole all’inferno forse lo infiamma ulteriormente. E la mia scelta giornalistica odierna era ricaduta su un vivace tema nazional popolare, uno di quei temi su cui sogghigni compiaciuto mentre ti sforzi nel trovare le parole giuste. Ma le parole hanno un peso specifico che non puoi volontariamente controbilanciare. E anche se a volte non si può attingere a nessun vocabolario per il troppo dolore è dovere di chi scrive proiettarlo anche quando le parole sembrano sbiadirsi. Un dovere sensibile che nasce dal fatto che l’inferno, invece, tende a non sbiadire mai. E farlo fuggire velocemente non spegne nessuna fiamma, affievolisce solo il nostro peso specifico. Quegli ultimi abbracci sulla spiaggia vanno narrati perché ci ricordano chi siamo, unanimemente avremmo voluto disperatamente allungare una mano per salvare quelle anime. Una fiamma che vive nonostante le parole. Una fiamma umana che evidentemente neanche l’inferno può spegnere. E nonostante l’angoscioso pensiero che anche Dio è impotente di fronte al dramma degli uomini, alleggerisce il peso dell’anima pensare che la sua mano tesa abbia potuto almeno abbracciare quegli abbracci impotenti, che abbia potuto proiettare anche la nostra d’impotenza. Quella proiezione che urla nella disperazione che il pianto è sempre un pianto comunitario, che il dolore è il dolore di tutti. E’ il nostro peso specifico, il peso della nostra potenza che arde anche quando siamo impotenti. Non aggiungerò quindi parole all’inferno ma solo la proiezione di un’immagine viva, che ci vede in quell’abbraccio, tra quelle anime e Dio.
Stefania Bozzo
Opinioni
17:48 | 17/05/2018 - Dal Mondo