Nella concezione platonica l’animo umano, prima di unirsi al corpo, contempla la perfezione delle idee nel “mondo delle idee”. Questa contemplazione plasmerà poi l’individuo rendendolo un precursore della Verità o un trasformista della non Verità. Le persone quindi, secondo il saggio Platone, ritrovano in vita quello che già sanno. La reminiscenza di un qualcosa che si è fissato dentro di noi e di cui riconosciamo i tratti. Quest’antica teoria potrebbe spiegare quel percepibile attuale distacco che separa intimamente noi dalle strazianti immagini che ci arrivano dalla Siria. Immagini che ci sorpassano. Immagini che non riconosciamo. Perché in fondo noi vediamo quello che sappiamo, e quei corpicini inermi a terra escono da qualsiasi nostra maglia precostituita. Una fotografia indeterminata e inguardabile che ci sfugge. Oltrepassa talmente tanto gli argini delle nostre idee che ci appare limpidamente infernale, ma non la vediamo. Perché non c’era.
Perché nel “mondo delle idee”, al di là del cielo, non può essere universalmente plasmabile la morte dell’innocenza; non può esistere la visione di tale assurdo strazio. Ma queste piccole anime esistono e ci guardano. Loro sì, incessantemente. Siamo noi trasparenti. E il loro respiro si posa ancora su tutti noi. Non si confonde, ma ci sovrasta, mostrandoci anche ciò che non sapevamo. E se l’esperienza del vedere è essenziale al vedere stesso, il loro specchio della realtà rende accecante qualsiasi idea. Perché non esiste idea, al di qua del cielo, che possa giustificare tale Verità. E ora, grazie a loro, non possiamo più sfuggire. La loro esistenza dovrà diventare una reminiscenza essenziale del nostro tempo. Quell’immagine ci ha raggiunto. E oramai non può più andare oltre noi.
Stefania Bozzo
Opinioni
12:36 | 26/10/2017 - Rimini