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Opinioni 11:57 | 01/02/2018 - Dall'Italia

Santi, poeti, navigatori e senza lavoro

L’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro è una difficoltà nota nella quasi totalità dei Paesi industrializzati. L’Italia non fa eccezione al riguardo. Siamo ad un punto di non ritorno, il futuro di una larga fetta di popolazione è a rischio. Se si vuole risolvere il problema si deve agire. Prima però è necessario comprenderlo, il problema.
In Italia, secondo quanto riportato da Eurostat, nella fascia tra i 16 e i 24 anni, lavora circa un giovane ogni 5. In giugno la disoccupazione giovanile in Europa è calata dal 19% al 18.7% e nonostante la diminuzione in
Italia sia stata anche maggiore, passando dal 36.5% al 35.4%, resta la terza più elevata dietro solamente a Grecia (45.5%) e Spagna (39.2%) e lontanissima da Germania (6.7%) o Austria (8.4%). E questo non perché i giovani Italiani siano nelle università; ci confermiamo infatti carenti di laureati, solo 26 ogni 100 nella fascia tra i 30 e i 34 anni e tra questi solo il 53% riesce a trovare un’occupazione.
Come se non bastasse, sempre secondo Eurostat, la “protezione” del lavoro per le fasce più anziane, in Italia è esponenzialmente maggiore che in Europa. Il dato alquanto allarmante sul rapporto tra disoccupati
under 25 e “adulti” compresi tra i 25 ed i 64 anni in Italia si attesta a 4.5 (ogni disoccupato adulto ce ne sono 4.5 giovani). La media Europea presenta un eloquente 1 a 1.5. Se a questo aggiungiamo il largo uso da parte delle aziende di impieghi per i giovani a breve termine, che molto saltuariamente poi diventano assunzioni a tempo indeterminato, il quadro assume tinte ancora più fosche. Molti ragazzi vengono attratti con la possibilità di stage o con contratti di apprendistato; escamotage utilizzati troppo spesso dalle aziende per ridurre i costi contributivi. Escamotage se non proprio condivisibili per lo meno comprensibili, dati i costi reali di una busta paga, giunti ormai a livelli quasi insostenibili. E’ quindi lecito aspettarsi che un’azienda prediliga un rapporto il più flessibile possibile con la propria forza lavoro.
Il perdurare di questo tipo di esperienze lavorative a dir poco precarie, non permette agli “assunti” di maturare quelle competenze tecnico-professionali necessarie per affermarsi in un mercato del lavoro sempre più bisognoso di figure specializzate. Questa trappola della precarietà porta i ragazzi a vivere in una costante ansia e in condizioni di perdurante insicurezza.
I cosiddetti Millenials, ragazzi nati dopo il 1982 figli dell’era digitale ed abituati a vivere connessi , hanno dovuto adattarsi a queste condizioni. In loro rimane saldo il desiderio di arrivare, di affermarsi e di dimostrare di essere importanti. La grossa sfortuna è l’aver sbattuto la testa contro una crisi che inizialmente sottostimavano, ma che ad oggi presenta ancora il conto soprattutto a loro, vittime di un mercato del lavoro che troppo spesso preserva l’anzianità di servizio; situazione non di passaggio. Ma nonostante questo non vogliono riporre nel cassetto i propri sogni. I grandi progetti vengono momentaneamente accantonati, messi in un angolo ma solo temporaneamente. Si tratta di una generazione da alcuni definita di “bamboccioni”, pigri ma che è disincantata e si trova a combattere in condizione difficili; ma non demorde. I ragazzi sempre più spesso si accontentano di lavori che poco o nulla hanno a che vedere con i propri studi e/o sogni, lavori spesso part time la cui retribuzione non viene percepita come adeguata. Ma ci si sacrifica, sperando in tempi migliori; i sogni permangono ma vengono spostati più avanti, traslati di qualche anno.
Chi giudica tutto questo insostenibile, ha una sola possibilità: andare all’estero. Molti dei ragazzi che vanno all’estero, anche solo per fare un esperienza di studio alla fine scelgono di fermarsi in pianta stabile. I desideri e i sogni da noi appaiono molto più difficili da realizzare che in realtà più dinamiche e attive. Il grosso problema è che il moto dei cervelli è a senso unico, non riusciamo ad attrarre ragazzi dall’estero; figurarsi.. verrebbe da dire, non riusciamo nemmeno a tenere qui i nostri. I ragazzi che se ne vanno presentano tipicità molto diverse anche se in maggior numero emigra chi è in possesso di un livello scolastico superiore e con competenze elevate. Profili che sarebbero preziosissimi per noi in questa fase di limbo tra crisi-non crisi, crescita lenta-non crescita. Ragazzi scoraggiati che non si riproducono né economicamente, né demograficamente e tutto questo potrebbe creare un pericoloso vortice negativo. Queste spirali si possono ancora fermare. Ma il tempo vola. Sicuramente le scelte politiche effettuate da decenni a questa parte non hanno per nulla aiutato, agendo con palliativi momentanei. E’ giunta l’ora di aumentare la flessibilità a livello generale, non solo per i contratti junior. Sarebbe forse il caso di eliminare contratti a tempo determinato e indeterminato, magari anche solo per le nuove assunzioni così da non toccare i privilegi dei più anziani. Superare questo scoglio e creare un unico contratto di lavoro sarebbe un passo avanti enorme e sicuramente attirerebbe investimenti in Italia, oltre a creare un mondo del lavoro più flessibile e dinamico per tutti.
Quali prospettive per chi resta? Una tiepida ripresa, specie nell’export ed esclusivamente nelle regioni centro settentrionali sembra ridare un po’ di fiducia e fa da stimolo. In questo mondo digitale dove tutto è allo stesso tempo vicinissimo e lontanissimo, la competizione tra gli attori economici si è fatta serrata e in molti settori è quasi impossibile poter rivaleggiare con alcuni colossi che possono contare su costi del capitale umano infinitesimali se confrontati coi nostri o su anni se non decenni di investimenti che hanno portato ad un gap tecnologico incolmabile a breve. Quindi la fantasia, che non è mai mancata al nostro popolo, deve venire indirizzata in quei settori dove abbiamo un perdurante vantaggio competitivo (agroalimentare, turismo, cultura, lavorazioni di precisione, creatività). Ecco quindi il ritorno nei campi; nel 2016 un aumento vertiginoso per gli under 35 che ritornano a lavorare nel campo agricolo. I nuovi agricoltori, pastori e pescatori che affrontano le sfide del settore con il costante tentativo di digitalizzare un settore in cui la grande varietà italiana è già di per sé una garanzia. La riscoperta delle facoltà umanistiche, magari con un percorso di studi ad indirizzo economico, che può creare figure professionalmente preparate a sfruttare il patrimonio storico-culturale unico al mondo di cui disponiamo, purtroppo non adeguatamente valorizzato.
A proposito di patrimonio storico-culturale..Esso ci proviene da 2500 anni di protagonismo, a diversi livelli di importanza, nella storia Mondiale ed Europea. 2000 anni fa i generali di Roma ci resero grandi, 500 anni fa lo fecero i pittori e gli scultori, gli inventori rinascimentali e i nostri esploratori che scoprirono il nuovo mondo; abbiamo nel nostro DNA “i geni dei genii”, ora le nostre speranze sono riposte nei millenials.
Sapranno raccogliere la sfida?
Alessio Giulio Caldart