La traduzione in forma di mosaico del dipinto “La stanza turca” di Balthus, realizzato tra il 1994/1995 e conservato nella collezione dei mosaici moderni e contemporanei del MAR a Ravenna, ha aggiunto alla pittura dell’artista una componente eterna legata alla solidificazione della luce. E’ proprio in terra musiva quindi che Balthus ha ricevuto l’ultimo tassello che l’ha conclamato artista indiscusso sopra ogni tempo. Balthus dipinge guardando ai maestri del Quattrocento, e questo classicismo si amalgama a una modernità rendendo uniche le sue opere. Il mosaico di Ravenna ha incasellato l’immortalità, retrocedendo e posticipando i vuoti del tempo; pietrificando il dipinto ha fissato l’immagine rendendola immutevole. Un’irrevocabilità che mancava all’anima del pittore e che ha conferito una decifrabilità poco consona alla sua sensibilità mobile. “Bisogna imparare a spiare la luce. Le sue modulazioni, le sue fughe e i suoi passaggi”(Balthus). Grazie alla città romagnola il pittore ha riempito tutti gli spazi di un’arte che si nutre di una verità che va scrutata e non interpretata, che va a toccare le radici pur proiettandosi verso l’eterno, con un’aurea mutevole che muovendosi nell’anonimato prova a dimenticare se stessa. E l’artista risulta così in accordo con ogni tempo nonostante la forza della sua visione che invece pressa per stare fuori dal tempo, senza volontà interscambiabili. La ricerca della forma più pura che vive di ogni singolo spazio e segno e che porta l’artista a “dipingere per uscire da se stesso”(Balthus). E se “Balthus è un pittore di cui non si sa niente” (Balthus, 1968) a Basilea dal 1 settembre fino al 1 gennaio alla Fondation Beyeler, in una mostra a lui dedicata, si possono ammirare alcuni importanti lavori che sanno della sua passione. La contemplazione
del reale, tra classicismo e modernità. Ma l’eternità rimane a Ravenna.
Stefania Bozzo
Opinioni
17:41 | 19/06/2018 - Valconca