Di fatto andiamo a vedere Caravaggio e non i dipinti di Caravaggio, quindi recarsi a Rimini alla “Caravaggio Experience” e intraprendere un viaggio fra 57 opere riprodotte attraverso 17 videoproiettori su 13 superfici è più appagante di ammirare a Forlì l’abbandonata “Madonna dei Pellegrini” nella mostra “L’Eterno e il Tempo, tra Michelangelo e Caravaggio”. L’impulso a capire Caravaggio è più vitale dell’arte di Caravaggio. Gran parte delle idee dell’artista maledetto sono frutto della sua personale concezione della vita, una conseguenza che non sporca l’autonomia della sua estetica ma che inevitabilmente ci parla di lui. Ed è un qualcosa che va oltre la pittura. E l’immersione onirica caravaggesca, nella sala riminese dell’Arengo fino al 22 luglio, ci proietta in una dimensione reale dove le copie sono più vere degli originali perché racchiudono in un’unica e completa esperienza quella densità morale e formale che esce da un’analisi particolareggiata o limitata, definendo e illuminando l’immagine della vita del Merisi. La vita vince sull’arte. La curiosità sull’uomo batte il feticcio dell’originalità. Proiezioni della realtà fotografica di Caravaggio, con l’effetto matriosca del guardare una foto all’interno di un’altra foto; uno Stargate seicentesco di 48 minuti tra immagini, suoni, profumi che amplifica la propensione popolare all’artista. Palpitiamo per capirlo. E la dissacrazione e la scelleratezza delle sue oscure vicende umane ci saziano, sono quello che cerchiamo. L’arte immersiva che permette una contemplazione dell’opera senza l’opera in questo caso ha senso perché la contemporanea percezione della popolarità del pittore è più grande della sua arte. L’attuale volontà di entrare nel pensiero caravaggesco è più dirompente del pensiero caravaggesco in sé. Il percepito è ancora più vorace e denso della vita stessa. Il percepito batte sia la forma che l’artista.
Stefania Bozzo
Opinioni
17:27 | 07/03/2018 - Forlì