A Palau, uno stato insulare del Pacifico, sopravvive la leggenda che i dugonghi in tempi remoti erano in realtà delle giovani donne. E Mariam, la piccola dugongo salvata a maggio in Thailandia e morta pochi giorni fa per le complicanze dovute all’ingerimento di plastica, deve essere stata bellissima. Guardandola accoccolata tra le braccia dei biologi marini, l’immagine della giovane donna e del mammifero si sovrappongono, si uniscono nella dolcezza e nella grazia. Quell’immagine esce dalla scienza, come se la realtà in qualche modo giustificasse la leggenda. Il mito non divide, unisce specie diverse, e quell’abbraccio ci racconta come universalmente la cura dovrebbe prevalere sull’abbandono. Mariam si è appesa alla vita come una giovane donna si aggrappa fiduciosa al mondo. Si è lasciata trasportare come chi ha un bisogno comunque di credere in qualcosa, e in qualcuno. Lei ha creduto in noi. E noi siamo riusciti a salvarla ed a ucciderla nello stesso tempo; l’immagine dell’uomo salvatore e dell’uomo distruttore si sovrappongono. L’abbiamo ammazzata con la plastica, era nello stomaco, gli ostruiva i tessuti, non si poteva curare. Nonostante gli sforzi dei veterinari del Parco Marino della provincia thailandese di Trang, la piccola ha smesso di respirare poco dopo la mezzanotte di venerdì, per un collasso. Inaccettabile. La realtà ha prevalso sul mito, nessuna trasformazione, solo la fine. I dugonghi sono mammiferi marini a forte rischio di estinzione. E Mariam ora deve diventare il nostro mito, quella che porta l’uomo a trasformarsi in qualcosa di diverso. L’uomo salvatore e l’uomo distruttore non possono più sovrapporsi. Una trasformazione drastica, che annienta il distruttore per anteporre la natura. Una nuova realtà che giustifichi la leggenda. La leggenda di Mariam.
Stefania Bozzo