"Spesso sentiamo parlare di cani tenuti in box troppo stretti, alimentati in maniera carente o privati di cure mediche veterinarie, tutte forme di maltrattamento che hanno un'origine comune, adozioni non responsabili sostenute da un non corretto supporto preadottivo. Il destino di questi cani, quasi sicuramente, sarà quello di essere rinchiusi in un canile, dove purtroppo la loro situazione non migliorerà. Non voglio dire che nei nostri canili non si faccia del tutto per rendere la condizione di “carcerato” meno dura possibile, ma finché non si cambierà l’impianto strutturale, l’idea proprio di canile, non si riuscirà a tutelare il benessere animale. Inoltre, un cane maltrattato è sicuramente portatore di una problematica comportamentale che, come una sentenza, lo condannerà probabilmente a rimanere a vita in canile, visto che al momento non esiste un reparto efficiente e stabile per la riabilitazione comportamentale di questi animali. Tutto quello che allo stato attuale si riesce a fare come riabilitazione nei nostri canili è solo frutto della buona volontà di poche persone, ma non è sufficiente. Per far fronte a questa situazione è importante integrare in canile un'ulteriore figura stabile, il medico veterinario comportamentalista, che si affiancherà al direttore sanitario per una gestione comportamentale del paziente oltre che a quella sanitaria già presente. Poi ci sono i costi, sia dei sequestri che di mantenimenti dei cani all’interno del canile, risorse pubbliche che, se ottimizzate, potrebbero essere in parte utilizzate in maniera più proficua magari implementando percorsi di riabilitazione per gli animali problematici, fare prevenzione ed informazione quindi sensibilizzazione alla cittadinanza e programmare anche un rinnovamento culturale del volontariato, basta con quello su base spontaneistica. L'obiettivo è quello di abbandonare la visione pietistica, il cane non ne ha bisogno e non ce la chiede, e rendere il canile un polo di aggregazione sociale e non una struttura ai margini della società. Il canile deve diventare una struttura aperta al pubblico, un posto dove si va a fare la gita domenicale, un'agenzia matrimoniale dove si costruiscono relazioni che dureranno per tutta la vita. Integrare il cane nel nostro tessuto sociale è possibile, bisogna però prima volerlo e poi realizzarlo, mediante risorse che vadano effettivamente a lui e non di certo all’uomo. Ricordiamoci che per rispettare veramente l’etologia del cane, dobbiamo permettergli di esprimere sé stesso, quello che realmente si sente di essere e non imporgli quello che noi pensiamo lui sia.
Dott. Fabio Vergoni MVC
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