E’ una natura che non dà rifugio, come in un quadro di Filippo De Pisis. Solo disperazione. E’ una natura che non consacra una oggettività contenibile ma che si manifesta come se fosse in continua fuga. Sembra scapparci. La veduta di un paesaggio mutevole che si spoglia dalla sua salda consistenza per mostrarci il suo lato più effimero. E’ una natura continuamente agitata, si stacca dai suoi contorni, vibra, traballa. Ambisce a rendersi sempre più inafferrabile. E noi la odiamo, come si odia il capriccio di chi non afferma niente. Perché davanti all’irruenza di questi giorni, che ha portato a delle tragedie immani nel nostro Paese, non può esserci consolazione. Quell’acqua, quella fanghiglia, quei venti hanno sommerso la speranza di essere a casa. Non c’è protezione quando quell’istinto effimero prende il sopravvento, si sposta per farsi trovare altrove con la forza di chi sa che non potrà mai farsi prendere. E noi in quell’istante perdiamo i contorni delle nostre certezze, delle nostre più frenetiche convinzioni. Quella natura non rappresenta niente ma ci uccide col sordo fragore del suo movimento inafferrabile. Forse dovremmo cominciare a guardarla come si scrutano le opere del pittore Filippo De Pisis. La carta che utilizzava per i suoi disegni ad esempio era sempre giallina, maculata e invecchiata prevedendo l’alterazione del tempo. Guardare la natura come quel foglio. Invecchiarla, con lo sguardo di oggi. Per odiarla di meno, per agire adesso sulle alterazioni di domani, per sbiadire i contorni di quel capriccio e trovare la forza di perdonarla.
Stefania Bozzo