La copertina di domenica del quotidiano comunista Il Manifesto, “E così Fiat”, con la foto di Sergio Marchionne malinconicamente piegato su se stesso e la denuncia “Ha tolto diritti ai lavoratori e ha portato il gruppo dell’auto via dal Paese” è un lager mediatico. Se questo è un uomo, questo va rispettato, oggi, senza se. E l’avvilente ricerca su cosa ha rappresentato il manager per la Fiat e per Torino e cosa ha rappresentato per l’Italia, seguendo freddi e analitici termini, è un campo di annientamento. Le analisi che scandagliano la vita del manager scandiscono un’urgenza di racconto insensibile. Considerare oggi se questo è un uomo meritevole, meditare su questo quando il capo non è più chino ma steso immobile su un letto d’ospedale significa riversare su Marchionne una opaca solitudine. Immeritata. Inadeguata. Perché oggi “Il simbolo del capitalismo che riduce la civiltà”, “Il cattivo padrone” sono epiteti di un tempo svuotato da quei significati. Il tempo della Fiat e il tempo di Marchionne non coincidono più. E’ un altro tempo, un’altra dimensione in cui i bilanci non sono alla portata di tutti, non sono pubblici, non sono nelle corde dei narratori. I cantastorie devono interrompere i loro racconti, ammutolirsi, aggrapparsi al silenzio per non perdere se stessi nell’inganno del giudizio che irrompe in spazi inaccessibili. Perché oggi se Marchionne sia stato l’uomo che ha salvato la Fiat e l’ha portata nel mondo o l’uomo che ne ha decretato la fine facendola diventare americana sono i quesiti limiti di un recinto che non ha senso oltrepassare. Annullare il lager mediatico, oggi, per tornare all’uomo. E così un uomo.
Stefania Bozzo
Opinioni
17:42 | 14/05/2018 - Dall'Italia