Come informa Repubblica ci ha lasciato Pelè.
Edson Arantes do Nascimento, in arte Pelè era il nome di un sogno, il nome di dio. Aveva una voce profonda e cavernosa da contrabbasso, e quel suono usciva da un corpo per nulla impressionante, un metro e settanta di altezza, neppure 75 chili di peso. Ma si trattava di un'illusione ottica, perché la struttura fisica di Edson Arantes do Nascimento era invece l'assoluta perfezione: gambe ipertrofiche, potenza in ogni gesto e insieme agilità, equilibrio sublime. Qualcosa di esplosivo ed elastico. E poi la tecnica mostruosa, il dribbling unico al mondo, la precisione nel tiro e nel colpo di testa, la visione di gioco che gli permetteva ogni volta di celebrare due partite insieme, contemporaneamente, una al servizio dell'altra: la sua e quella della squadra, cioè il Santos in maglia bianca oppure il meraviglioso Brasile. Mai nessuno così, mai più. Ci ha lasciato dopo un'agonia lunghissima, eppure ne siamo stupefatti.
Può esserci un mondo senza Pelè? Artista e comunicatore istintivo, senza però l'aura maledetta di un Maradona che per sempre gli contenderà il giudizio di mezzo genere umano: meglio Pelè o Diego? Risposta impossibile, è come dover scegliere tra Leonardo e Michelangelo. Pelè è arrivato prima, in un calcio diversissimo e non ancora mondializzato. È rimasto sempre in una squadra sola (a parte i Cosmos), non ha conosciuto l'Europa, se non nelle vittoriose trasferte della nazionale. Si è mosso dentro una maggiore lentezza generale del gioco, però ha mostrato gesti, azioni, momenti e reti che nessuno aveva mai conosciuto sul pianeta Terra. La sua bellezza non ha confronti, i suoi 1.281 gol in 1.363 partite resteranno irraggiungibili anche per un Messi, la divinità contemporanea. Probabilmente nessuno, come Pelè, vincerà un mondiale a 17 anni, segnando tre volte in semifinale (contro la Francia) e due volte nella finale con la Svezia di Liedholm: memorabile il primo gol, pallonetto sulla capoccia del difensore e rasoterra al volo a fulminare il portiere. Era il 1958. Una cosa del genere, però moltiplicata per tre, Pelè la ripeterà il 2 agosto dell'anno seguente, in campionato, contro il Clube Atlético Juventus: addirittura tre "sombreri" (le palombelle volanti, appunto) prima del tiro. Siccome non esiste il filmato di quella prodezza che Pelè considerava la più grande di tutta la sua vita, un bel giorno ne venne realizzata una ricostruzione virtuale, cioè un'animazione al computer richiesta proprio da lui.