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Sport 11:56 | 11/02/2019 - Romagna

Quella notte al residence "Le Rose", 15 anni dopo la fine di Pantani

Era la notte del 14 febbraio di 15 anni fa. Tanto è passato dalle ultime ore di vita di Marco Pantani, il campione, il pirata, uno dei più grandi ciclisti che l'Italia abbia mai avuto. Con il tempo, pur diventando leggenda, il mito collegato a questo piccolo grande uomo di Cesenatico non è riuscito a spazzare via le ombre, né a dissipare i dubbi. Sulla sua morte a privare lo sport italiano di un eroe seppure della categoria "maledetti", si è fatta luce solo fino a un certo punto e ci sono volute almeno due inchieste per arrivare al verdetto della Cassazione: il Pirata non è stato ucciso. La Corte suprema ha sentenziato una volta per tutte, per sempre, ma la famiglia del corridore non ha mai accettato il verdetto, mentre i suoi tifosi di sempre continuano a discutere. 
Vincitore nello stesso anno (1998) del Giro d'Italia e del Tour de France, Pantani venne ritrovato senza vita in una stanza nel residence 'Le Rose' a Rimini, pochi anni dopo le sue ultime pedalate in alta quota. Una fine con tante domande senza risposta che, solo pochi anni prima, nessuno avrebbe potuto prevedere e neppure immaginare. 
Leggiamo dall'agenia Ansa: “La parabola del Pirata, che - sempre secondo quanto ha stabilito la Cassazione nel 2017 - morì per ingestione involontaria di cocaina, aveva cominciato ad assumere la traiettoria sbagliata il 5 giugno 1999. Dopo la grande impresa ai piedi del santuario di Oropa, Pantani continuò a dare spettacolo. Arrivò solo sull'Alpe di Pampeago e a Madonna di Campiglio. Poi, sabato 5 giugno 1999, alle 7,25 del mattino, dopo un controllo "a tutela della sua salute", il suo ematocrito risultò del 52%, contro il 50% del limite massimo concesso. Fu quello l'inizio della fine del Pantani atleta. Una caduta senza appigli. La vita di Marco, in pochi minuti, venne sconvolta: il Pirata affogò nel fango e nella disperazione, trovando riparo nelle amicizie sbagliate e in altre sedicenti vie d'uscita. Da eroe sportivo si trasformò in una specie di sinistro paladino della solitudine, facendosi travolgere dalla tragedia. Ha provato a ritrovare un sentiero di salvezza e a imboccarlo, non c'è riuscito, cadendo nel baratro". 
Su Marco se ne sono dette e scritte tante: ha dato e avuto tanto dal ciclismo, ha regalato emozioni forti, palpitazioni, dispensato entusiasmo, ha acceso i sogni, andando oltre il limite. Forse troppo. Pirata e uomo, campione e colosso di argilla a uso e consumo di gente senza scrupoli o senza pudore. La sua fine era già scritta, nessuno forse ha cercato di spiegare i perché.