Non si può non provare simpatia per un uomo vissuto sempre al margine del successo che avrebbe meritato in vita, un gradino sotto il riconoscimento universale, continuamente costretto a fare lavori sì intellettuali, ma fastidiosamente mai soddisfacenti le sue vere abilità e soprattutto aspirazioni. Un uomo che dovette impegnare i beni di famiglia per pubblicare il suo capolavoro filosofico, non riuscendo neppure a coprirne tutte le spese (tanto che uscì in edizione ridotta). Tale fu umanamente Giambattista Vico, raccontato ieri sera da Marcello Veneziani al cine-teatro Astra di Misano che ha aperto la nuova edizione di Ritratti d'autore. Una lezione intensa, appassionata davanti ad una grande platea che ha omaggiato Veneziani con una emozionante standing ovation finale . Ma qual è la tesi di Veneziani? Il suo Vico è un gigante, il più grande dei pensatori italiani, perché nel crogiolo partenopeo riesce a fondere antiche radici e frutti novissimi della civiltà europea: il senso della storia ciclico del mondo classico e la teologia cattolica (teologia raffinatissima, ma anche religiosità ingenua e popolare, di cui Napoli gronda) insieme con gli “ultimi gridi” della filosofia del suo secolo, che si affacciava ai Lumi. Dice Veneziani: «Mi fa male quando vado a Napoli e passo a vedere la casa di Vico e al posto della libreria di suo padre c'è una friggitoria e ironicamente aggiunge: «È un po' come dire che il pensiero di Vico deve andare a farsi friggere».
Cultura
11:53 | 11/11/2024 - Rimini