La Lucrezia di Guido Cagnacci (pittore seicentesco di Santarcangelo di Romagna) è una Lucrezia che, con le sue forme volumizzate e le sue carni morbide, fa trasparire protezione. Non è quindi un’adolescente e non
può essere la Lucrezia storica. Non è la giovane donna che nella Roma del 510 d.C. si trafisse il petto con un coltello per dimostrare la fedeltà al marito Collatino, dopo essere stata abusata sessualmente da Sesto
Tarquinio. L’offerta, il desiderio, la carnalità di un corpo che trabocca fa dimenticare la storia attraverso un travestimento divorato dalla forza tutta femminile dell’immagine. Quello che ci trasmette l’artista è più intenso di una Lucrezia mascherata. Va oltre la forma e l’apparenza. Una sensualità romagnola seicentesca, ma senza tempo, che vibra tra il realismo di Caravaggio e l’idealismo di Guido Reni; sacralizzando talmente tanto il corpo nella carne da conferire forma anche all’anima. Un amor profano talmente spinto e ansimato che è riuscito a sacralizzare l’amore. Respiriamo di più spirito e piacere in Cagnacci che in Tiziano. Nel famoso dipinto dell’artista veneziano l “’Amor sacro e Amor profano” tutto è profano. L’attenzione alla sensualità femminile nell’opera prevale sui significati allegorici (come per Cagnacci), ma i sensi rimangono ben ancorati a terra. Il piacere è qui, ed è anche nostro. Mentre la Lucrezia di Cagnacci è di Cagnacci. Con le sue labbra sensuali, il corpo morbido e gli occhi languidi indirizzati verso l’alto sembra convogliare la sua passione amorosa esclusivamente verso un uomo. Sembra dirci “Sono bellissima ma sono solo del pittore”, con uno sguardo che, colmo d’ardore, ci esclude. Tale visione si distacca talmente tanto dal significato storico originale dell’opera da estraniarci da altre riflessioni e interpretazioni. Un pittore che, amando e glorificando la potenza femminile, crea per godere delle sue beltà. Con un amor sacro, profano e possessivo. La Lucrezia di Cagnacci è in mostra negli spazi del Padiglione delle Feste di Castrocaro Terre, insieme ad alti valorosi dipinti, in una esposizione dal titolo “Sacro e Profano. Le Arti tra ‘500 e ‘600” fino al 17 giugno. Una delle donne del pittore romagnolo è quindi ammirabile in tutta la sua sensualità, attraverso la vanità amorosa e artistica di un uomo che ama talmente tanto la carne da mostrarcela senza farcela possedere. Le donne di Cagnacci appartengono a lui. Bramate, e poi “non importa che accettino o rifiutino, quello di cui hanno piacere è essere corteggiate” (Ovidio).
Stefania Bozzo
Opinioni
17:27 | 07/03/2018 - Forlì