Il pomeriggio, dopo la scuola, prima che facesse notte, con l’amico del cuore con il quale dividevi tutto e credevi non finisse mai, dotato di un cestino come Cappuccetto Rosso e armato di coltello, nonostante il freddo intenso e bubbolo che ti arrossava le guance e ti gelava le orecchie a sventola, i pantaloni con la loffa riadattati per la crescita, il sorriso di chi è contento di quello che ha e non desidera altro, andavi a raccogliere il muschio perché finalmente era Natale. E Natale non era un giorno, era Natale. Era l’attesa, l’evento, la scuola che finiva, il gelo dell’inverno, la galaverna, il pettirosso, le giornate sempre più corte, la legna nel camino, e spesso e volentieri anche la neve, almeno sulla Carpegna fino a Montescudo. Tu portavi il cappotto lungo di tuo fratello e quando cadevi non ti sbucciavi le ginocchia e neppure le mani. Il muschio era fondamentale, il migliore lo trovavi ai Cerchi, verso il Lavatoio, nella terra dei “Muclon”. Là c’erano gli ulivi più vecchi del paese e lì il muschio era più bello, più soffice, più verde; forse era il Castello dei Malatesta e la vicinanza di San Marino a creare un microclima particolare; o l’aria del mare che si incanalava da Raibano sulla Puglia e risaliva il bancone di Sant’Andrea. Ma il muschio lo sentivi nelle mani, nell’odore, nella consistenza. Se volevi e dovevi partecipare al concorso del presepe più bello non potevi non farlo, il fondamento, l’incipit, l’alfa era il muschio. Noi, Biagio, Bruno, Trento ed io i quattro moschettieri del Borgo, gli inseparabili non potevamo sbagliare: l’importante era vincere, non partecipare. Non c’erano gli addobbi, le palle, le luci, i Babbi Natale, le cazzatelle, i regali. La Befana arrivava dopo, ed era più carbone che caramelle con qualche mandarino e significava la fine delle feste. Il presepe era segno tangibile, concreto che il Natale era arrivato. Nel “fondo”, di “Boghi”, il falegname del gruppo, Biagio era l’elettrico, Trento il creativo ed io non ricordo il ruolo ma sicuramente ero il più scarso. Negli intervalli fra una sigaretta di carta gialla avidamente aspirata, “Boghi” che aveva il fucile a piombini sparava ai passerotti come Buffalo Bill, senza nessun rimorso, senza nessuna pena. Il sabato ci si confessava da don Silvio e sparare ai passerotti non ricordo comportasse qualche Ave Maria in più. Il pranzo di Natale non suscitava particolari emozioni, mentre invece era la Messa di mezzanotte l’appuntamento più importante del Natale corianese. In chiesa, don Michele Arcangelo era inflessibile come sempre. Fulminante, ti inceneriva con lo sguardo: a destra le donne che cantavano anche in latino e i bambini vicino all’altare. A sinistra gli uomini con il vestito buono e la brillantina e le bambine del coro delle Maestre Pie sempre vicine all’altare. Così Dante si innamorava di Beatrice ma questa è un’altra storia, di un lontano bellissimo Natale.
Buon Natale a tutti i Rurali
Enrico Santini