C’è una concentrazione talmente forte di dolore in Frida Kahlo che rende stilisticamente viva ed energica la sua immagine. E’ l’infelicità che la fortifica, mistificandola. Theresa May, il primo ministro britannico, lo scorso ottobre aveva sfoggiato durante un comizio un bracciale con le immaginette in miniatura della famosa pittrice messicana. E’ stato il battesimo di una “Fridamania” anche devozionale, icona pop ma anche immagine verista sacralizzata nel dolore e irrobustita nello stile. Perché la verità è che spesso il piacere che traiamo in pittura, così come in letteratura, è più intenso quando percepiamo la sofferenza nelle pennellate. E tanto sono più realisticamente tragiche, tanto più acquista valore l’esistenza nella sua drammaticità. La disperazione, l’immobilità, il panico, la malattia sono state la fortuna della pittrice. E il fatto di essere donna le ha conferito anche un marketing salvifico da santa protettrice, attraverso il protagonismo dei suoi autoritratti. Modigliani, altro caso simbolo del ‘900, ci ha distratto dal suo tormento esistenziale con i suoi iconografici nudi di donna dal collo lungo, che hanno scalzato il pittore nel suo ruolo iconografico. La Kahlo invece è diventata il caso di se stessa, la consapevole effige del suo marchio d’infelicità. E l’anno scorso la signora May, volgendo il suo britannico sguardo verso il Messico, non ha scelto come icona votiva Nostra Signora di Guadalupe, ma Frida. Perché il protagonismo nell’arte può diventare sacro anche nel comunismo più sanguigno di una donna che, col dolore dei suoi ritratti, si è voluta rendere immortale. Ha fissato nella tela il dramma per il nostro godimento. Ma di questo piacere sicuramente non aveva calcolato né la sacralizzazione, né la mercificazione (Tshirt Frida, spolverino Frida,
scalda tazza da caffè Frida, calzini Frida, Barbie Frida). Guardando il monociglio della Kahlo, il dolore personale si affievolisce nel compiacimento di una non così sventura, o si miscela attutendone il colpo. E’ diventata l’icona votiva del nostro piacere. E’ il “votiva” che forse non aveva considerato.
Stefania Bozzo
Opinioni
12:30 | 24/01/2018 - Dal Mondo