La vendita di consistenti asset di opere d’arte e la loro rispettiva cartolarizzazione attraverso la creazione di strumenti di gestione finanziaria di diritto estero, cioè l’apertura di fondi, rientrano in progetti finanziari
diffusamente proposti in ambito speculativo. Spesso i punti pressanti di tale promozione puntano sul fatto che tali strumenti godranno di una copertura assicurativa che renderà la proprietà “inattaccabile” e sulla tipica convenienza dello “switch”. Sviluppati sotto forma di “Umbrella Found”, tali strumenti sarebbero caratterizzati da un’ampia flessibilità e quindi i progetti sarebbero scalabili e adattabili a tutte le esigenze che si dovessero presentare in corso d’opera. Inoltre i fondi, costituiti sotto un “unico ombrello” e lavorando quindi attraverso “vasi comunicanti”, hanno la potenzialità di produrre una loro redditività a seconda della linea di gestione che si vuole utilizzare. Il controvalore minimo delle opere d’arte consigliato, da conferire al fondo nei vari prospetti finanziari, ha stime iniziali variabili. Per la vendita degli asset i soggetti coinvolti si affidano spesso a istituti di credito esteri che si prestano ad effettuare l’istruttoria delle diligence sulle proprietà storiche, il controllo del Bene Fondi appalesato da parte del cliente, la redazione del closing finale. In un clima di assoluta riservatezza, le banche garantiscono altresì un rappresentativo spazio con caratteristiche di tutela, che potrà essere opportunamente e strategicamente utilizzato come location per custodire le opera dell'arte. Spesso non autentiche. E quando queste esistono. Eh sì, perché molto spesso gli asset d’arte sono esclusivamente book rigogliosi, inverosimili, distrattamente redatti. Cataloghi che rappresentano un mercato delle pulci dell’arte che acquistano senso speculativo in una brodaglia che priva dell’arte la sua palpabilità. Un’arte finanziaria, un’arte astratta.
Stefania Bozzo
Opinioni
17:41 | 19/06/2018 - Valconca